V I S U A L I Z Z A D I S C U S S I O N E |
Enza |
Inserito il - 03/07/2017 : 08:52:01 Con Paolo Villaggio se ne va uno dei pochi attori comici italiani. Se tanti sono gli attori “da commedia”, i comici si contano sulle dita di una mano: Totò, Franco Franchi, Villaggio appunto… Molte sono le analogie e le differenze col sommo De Curtis, in arte Totò. È vero che Villaggio non diede, al contrario di Totò, il proprio nome ai film, ma in compenso li intitolò al suo "doppio" Ugo Fantozzi, l’avatar da lui creato e interpretato in ben dieci pellicole. S’è fatto spesso riferimento a una condivisione dello stesso destino tra i due comici, che sarebbero stati ignorati a lungo da una critica sdegnosa, per essere poi “riscoperti” tardivamente. Un’opinione suffragata da alcune iperboli su Fantozzi, da quando si cominciò a parlarne come l’erede della grande letteratura russa dei Gogol e dei Cechov. Ma non andò veramente così. Dopo una fortunata carriera nel cabaret e alla televisione (dove aveva indossato i personaggi del sadico professor Kranz e del sottomesso impiegato Fracchia, ottenendo subito una grande popolarità), Villaggio entrò nel cinema dalla porta principale. Nel 1970 fu l’alemanno infanticida in Brancaleone alle Crociate di Mario Monicelli; poi lo si vide a fianco di Vittorio Gassman in due film (Senza famiglia, nullatenenti cercano affetto e Che c’entriamo noi con la rivoluzione?) e, nel 1974, in Non toccare la donna bianca di Marco Ferreri. Fu semmai dopo il primo Fantozzi, diretto da Luciano Salce quando l’omonimo libro di Villaggio diventò un best-seller, che l’attore si convertì decisamente al cinema nazional-popolare, capitalizzando un successo destinato a crescere nei decenni seguenti.
Un’altra diversità rispetto a Totò consisteva nel fatto che questi (pur con “spalle” di qualità come Peppino o Fabrizi) fu sempre protagonista dei film, mentre Villaggio poteva alternare il ruolo principale adattandosi al gioco di squadra: soprattutto negli anni Settanta, allorché nel nostro cinema imperversavano la commedia corale e quella a episodi: vedi (continuamente riproposti in tv) I pompieri, Missione eroica i pompieri 2, Scuola di ladri, Scuola di ladri parte seconda, Rimini Rimini ecc.
E tuttavia, per continuare nel parallelo con Totò, la carriera comica di Villaggio fu punteggiata di film d’autore. Dal più grande di tutti, Federico Fellini, che nel 1989 lo diresse comprimario di Roberto Benigni nella Voce della luna, all’Ermanno Olmi del Segreto del Bosco Vecchio (1993), fino a Cari fottutissimi amici (1994), di nuovo con Monicelli.
Se i registi maggiori seppero valorizzare i tratti più amari e malinconici della sua grande “maschera” di perdente, non per questo Villaggio tradì il personaggio che gli aveva dato la fama (e che quei tratti, in fondo, conteneva già), continuando a portare sullo schermo le epiche sventure di Fantozzi. Ebbero meno fortuna, invece, altre varianti del suo repertorio comico, quali Professor Kranz tedesco di Germania (con Salce) e un paio di Fracchia diretti da Neri Parenti.
A Paolo Villaggio non sono mancate le soddisfazioni in vita, dal David di Donatello come miglior attore protagonista per il film di Fellini al Leone d'Oro alla carriera (1992), dal Nastro d’argento per Il segreto del bosco vecchio al Pardo d'onore a Locarno (2000). Difficile dar conto in poche righe della sua attività di scrittore satirico o delle incursioni sulle scene teatrali, tra cui un memorabile Avaro (1996) e l’autobiografico Delirio di un povero vecchio (2000-2001). Ma sarebbe colpevole non ricordare la sua amicizia con Fabrizio De André, risalente agli anni in cui erano ragazzini e che produsse due canzoni memorabili come Il fannullone e Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers (testi di Paolo, musica di Fabrizio).
Alle esequie dell’amico Villaggio disse: “era una persona molto sensibile e ovviamente quando si è molto amici si parla della morte come di un fatto lontano, del tutto improbabile. Adesso che invece la cosa è accaduta e quando stava per succedere, non abbiamo mai avuto più il coraggio né di incontrarci, né di parlare della cosa, perché questa volta non era un gioco, non era letteratura, era la realtà”. Parole ineccepibili; anche per chi, come noi, preferirà ricordarlo con un sorriso.
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