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Inserito il - 18/11/2017 : 20:48:28
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Da Repubblica http://www.repubblica.it/salute/medicina/2017/11/18/news/ccsvi_e_sclerosi_multipla_l_angioplastica_non_e_efficace-181461645/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P4-S1.8-T1
Sclerosi multipla: il metodo Zamboni non è efficace Pubblicati i risultati di Brave Dreams, lo studio della regione Emilia Romagna che ha verificato se l'angiolastica migliora le condizioni dei malati
di LETIZIA GABAGLIO
18 novembre 2017
Sclerosi multipla: il metodo Zamboni non è efficace L’angiolastica venosa è una procedura che può aiutare le persone con sclerosi multipla a stare meglio? Da quando Paolo Zamboni, dell’Università di Ferrara, ha portato alla ribalta l’utilizzo di questa procedura per il trattamento della malattia neurodegenerativa, intorno a questa domanda sono nate molte polemiche. Ora i risultati dello studio “Brave Dreams”, finanziato dalla Regione Emilia Romagna e promosso dall’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara, pubblicati online da Jama Neurology e presentati oggi dallo stesso Zamboni durante la Veith Symposium a New York, “hanno consentito di dare una risposta forse definitiva alla controversia sulla efficacia dell’angioplastica”, come scrive l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara in un comunicato stampa. La risposta è negativa: nella popolazione di pazienti inclusi in questo studio, infatti, l’intervento di angioplastica non ha avuto alcuna efficacia nel modificare il naturale decorso clinico della malattia, né l’accumulo di nuove lesioni cerebrali. Conclusione: in pazienti con sclerosi multipla il trattamento con angioplastica venosa del collo non è indicato, neanche se portatori di insufficienza venosa cronica cerebrospinale (CCSVI).
Lo studio. L’esigenza di mettere in piedi uno studio nasce per verificare l’efficacia e la sicurezza dell’intervento di angioplastica con pallone dilatatore (PTA) nei pazienti con sclerosi multipla in cui sia stata diagnosticata la presenza di CCSVI. Secondo la teoria di Zamboni, infatti, il miglioramento del flusso venoso di ritorno dal cervello ottenuto attraverso un intervento di angioplastica avrebbe potuto migliorare, o anche solo rallentare, il decorso naturale della malattia. Ebbene, i risultati dello studio, condotto su 207 pazienti in sei diversi Centri italiani, dicono che i pazienti sottoposti ad angioplastica non sono mgiliorati, né in termini di disabilità né in termini di minori lesioni. Entrambi questi fattori sono considerati fondamentali per stabilire la progressione della malattia.
Disabilità. La sclerosi multipla porta a una progressiva disabilità causata dalla perdita di mielina e quindi dalla crescente difficoltà per il segnale nervoso di propagarsi lungo il corpo. Il primo obiettivo dello studio è stato quindi quello di capire se l’angioplastica potesse servire a rallentare la progressione di questa difficoltà motoria, attraverso la misurazione, fino a 12 mesi dopo l’intervento, di 5 fra i deficit funzionali che più frequentemente li colpiscono: deficit di controllo del cammino, di equilibrio, di destrezza manuale, di svuotamento della vescica e di acuità visiva. Lo studio ha dimostrato che l’intervento di angioplastica venosa non ha alcun effetto sulla disabilità rispetto a un intervento simulato.
Nuove lesioni. Il secondo esito analizzato nello studio è stato l’accumulo di nuove lesioni cerebrali misurato con esami di risonanza magnetica eseguiti dopo 6 e 12 mesi dall’intervento di angioplastica. Le immagini di risonanza magnetica sono state tutte valutate presso l’Università di Firenze in un unico centro, dove gli esami sono stati letti “in cieco”, cioè senza conoscere il trattamento al quale era stato sottoposto il paziente. I risultati pubblicati dimostrano che non sono state osservate differenze fra chi era stato sottoposto ad angioplastica e chi invece aveva subito un intervento simulato nell’accumulo di nuove lesioni combinate visualizzate alla risonanza magnetica a distanza di 12 mesi dal trattamento. Il terzo obiettivo dello studio, l’unico raggiunto, è relativo alla sicurezza: l’intervento non ha infatti causato eventi avversi maggiori.
Cosmo lo aveva già detto. “Lo studio di Zamboni e colleghi è in linea con le ipotesi scientifiche di questi ultimi anni. Conferma che il trattamento con angioplastica non è indicato nella sclerosi multipla. È doveroso che tutti i ricercatori diano sempre informazioni scientifiche corrette e chiare alle persone con SM che devono decidere della propria vita”, ha affermato Mario Alberto Battaglia, Presidente della FISM. Fondazione Italiana Sclerosi Multipla. La stessa Fondazione aveva finanziato nel 2012 uno studio, Cosmo, che aveva già dimostrato, pubblicando i risultati nel 2013, la sostanziale inutilità dell’angioplastica.
Selezione dei pazienti. Lo studio lascia un solo piccolo spiraglio, davvero piccolo per quella che nella parole dei sostenitori della teoria Zamboni dovrebbe essere un intervento risolutivo per la sclerosi multipla. Nei pazienti che hanno effettuato l’intervento di angioplastica si è vista una tendenza, non statisticamente significativa, a un miglioramento. Secondo Zamboni e colleghi questo effetto sarebbe potuto essere maggiore se i pazienti fossero stati selezionati. “Da tempo sappiamo che l’angioplastica con pallone è una procedura di chirurgia endovascolare che necessita di una selezione dei pazienti”, ha dichiarato Zamboni. “Solo di recente sono usciti in letteratura studi che chiariscono su quali tipologie di CCSVI questa procedura ha probabilità di migliorare il flusso, ma
questi criteri non erano conosciuti quando è iniziato Brave Dreams”. Lo stesso autore, durante una conversazione online su Facebook subito dopo la sua presentazione negli Usa afferma “questa procedura non può essere usata indiscriminatamente nella sclerosi multipla”.
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paris
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Inserito il - 18/11/2017 : 20:52:56
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http://www.estense.com/?p=654467
Ccsvi e sclerosi multipla: lo studio di Zamboni esclude l’efficacia dell’angioplastica Pubblicati i risultati dello studio Brave Dreams - Sogni Coraggiosi: l'intervento non riduce la disabilità, non comporta miglioramenti significativi e non è consigliato
L’angioplastica al collo non è generalmente efficace nella riduzione dei sintomi della sclerosi multipla, non produce differenze in merito all’accumulo di nuove lesioni cerebrali rispetto a chi non viene operato e non è efficace neppure nei portatori di Ccsvi, ovvero di insufficienza venosa cronica cerebrospinale, la patologia scoperta dal professor Paolo Zamboni, direttore del Centro Malattie Vascolari dell’Università di Ferrara.
È in sintesi la conclusione – probabilmente quella definitiva che chiude un’annosa controversia in materia, anche se rimangono delle cose da studiare meglio – dello studio Brave Dreams – Sogni Coraggiosi (Brain Venous Drainage Exploited Against Multiple Sclerosis) sull’efficacia e la sicurezza dell’angioplastica venosa nella sclerosi multipla, pubblicato nel pomeriggio di sabato dalla rivista scientifica Jama Neurology e presentato (seppure con 5 minuti di tempo a disposizione) da Paolo Zamboni al Veith Symposium di New York. Si tratta dello studio messo a punto dallo stesso Zamboni – che ne è primo autore – e dai suoi collaboratori nel 2011, partito nell’agosto 2012 e terminato nel marzo del 2016, finanziato con circa 3 milioni di euro dalla Regione Emilia Romagna nell’ambito del programma “Ricerca e innovazione” e promosso dall’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara.
Gli obiettivi principali di Brave Dreams riguardavano la valutazione sull’efficacia dell’intervento di angioplastica delle vene del collo su due importanti esiti: la disabilità misurata clinicamente e l’accumulo di nuove lesioni cerebrali misurato con risonanza magnetica dell’encefalo misurata all’inizio, a 6 mesi e a 12 mesi dall’intervento.
Per farlo è stato studiato un gruppo di 115 pazienti affetti da sclerosi multipla (una buona percentuale positivo alla Ccsvi): è un numero inferiore ai circa 400 previsti inizialmente perché alcuni centri di ricerca si sono ritirati e molti pazienti non hanno partecipato al reclutamento (in buona parte per paura di finire nel gruppo di controllo, ovvero tra quelli che non avrebbero subito l’intervento). Questo rende lo studio ‘zoppo’ dal punto di vista statistico, anche se rimane il più grande e completo fra quelli finora pubblicati. I pazienti sono stati divisi tra chi ha effettivamente subito l’intervento di ‘allargamento’ con l’angioplastica e chi invece non lo ha ricevuto (il “gruppo di controllo”).
I ricercatori che hanno raccolto e analizzato i dati sia clinici, sia strumentali, sia radiologici, non conoscevano quale trattamento fosse stato applicato e i pazienti sono stati indirizzati in maniera casuale verso uno o l’altra trattamento, senza che potessero scoprire quale: lo studio era cioè randomizzato e in doppio cieco.
La disabilità non si riduce dopo l’intervento. Lo studio ha dimostrato che l’intervento non ha alcun effetto sulla disabilità rispetto ad un intervento simulato. La valutazione è stata fatta periodicamente nell’arco di 12 mesi dopo l’angioplastica, misurando per la prima volta, in maniera oggettiva e con strumentazioni apposite ben cinque dei deficit funzionali che più frequentemente colpiscono i malati di questa patologia: il controllo del cammino, l’equilibrio, la destrezza manuale, lo svuotamento della vescica e l’acuità visiva.
Non ci sono differenze significative per quanto riguarda le lesioni. Lo studio di Zamboni ha mostrato che non ci sono differenze significative tra i due gruppi di pazienti neppure per quanto riguarda l’accumulo di nuove lesioni visualizzate con la risonanza magnetica o lo sviluppo di nuove placche o l’ingrandimento di quelle esistenti a distanza di 12 mesi dal trattamento. Nei controlli tra il 6° e il 12° mese, l’83% (58 su 70) dei pazienti sottoposti all’angioplastica e il 67% (22 su 33) nel gruppo di controllo era liberi da nuove lesioni. Nel complesso però – controllo da 0 a 12 mesi – questi risultati si sono stabilizzati verso il basso rispettivamente con percentuali del 63% e del 49%.
C’è però un piccolissimo spiraglio: in chi ha effettuato l’intervento di angioplastica – che in molti hanno definito come intervento “di liberazione” – l’andamento delle lesioni osservate con la risonanza magnetica effettuata con il mezzo di contrasto (il gadolinio) a 12 mesi, è positivo, anche se non statisticamente significativo. C’è, insomma, una tendenza di alcuni pazienti a non avere nuove lesioni dopo l’intervento, soprattutto nel secondo semestre di controllo.
Per gli autori dello studio questo supporta l’idea che siano necessari ulteriori studi su modelli fisiopatologici della malattia per potere fare considerazioni più generali e forse individuare se ci siano e quali siano i casi in cui l’intervento potrebbe essere efficace.
L’angioplastica è sicura ma non è un trattamento consigliato. Una nota interamente positiva riguarda invece la sicurezza dell’intervento di angioplastica che non ha determinato effetti avversi di rilievo. Non essendoci però evidenze solide su una sua efficacia nel trattamento della sclerosi multipla, gli autori sostengono che il trattamento con angioplastica venosa del collo non è generalmente indicato (neppure per chi ha la Ccsvi) e che non ci sia bisogno di effettuare altri studi se non per verificare gli effetti dell’angioplastica in un sottogruppo di pazienti.
Lo studio Brave Dreams è nato per verificare l’efficacia e la sicurezza dell’intervento di angioplastica che discende dall’ipotesi sperimentale fatta da Zamboni a partire dal 2006 sul rapporto tra il restringimento venoso e la Ccsvi. Dopo un’iniziale forte interesse, negli anni è nata una vera e propria controversia scientifica con vari studi che, di volta in volta, hanno confermato o escluso (come, ad esempio, l’ampio studio “Cosmo” eseguito dall’Associazione italiana sclerosi multipla, che ha deciso anche per motivi etici di non finanziare Brave Dreams) sia la presenza di un’associazione tra Ccsvi e sclerosi multipla, sia l’efficacia dell’intervento. |
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macchio
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