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lampaDINA e lampaDario
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buon


Dina & Dario
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dany61
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Olav H. Hauge

Neve

Mi sono svegliato
e riluceva la mia stanza
del bianco
santuario.

Azzurro era il giorno.
La betulla fuori,
ramoscelli brinati sul
vetro del cielo.

La pernice soltanto
poteva calcare
la bianca
pura neve!
Traduzione di Fulvio Ferrari

“La vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti” John Lennon
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lampaDINA e lampaDario
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Dina & Dario
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Enza
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dany61
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Audre Lorde

Poesia d'amore

Parla terra e benedicimi con ciò che è più ricco
fa' che il cielo scorra miele dai miei fianchi
severi come montagne
stesi su una valle
scavata dalla bocca della pioggia.

E io sapevo quando entravo in lei che ero
vento forte nella sua cava di foresta
le dita sussurravano suoni
il miele scorreva
dalla coppa spaccata
impalata su una lancia di lingue
sulla punta dei suoi seni sul suo ombelico
e il mio respiro
ululava nei suoi ingressi
da polmoni di dolore.

Avida come gabbiani reali
o un bambino
dondolo sulla terra
avanti e indietro
di nuovo.

Traduzione di Maria Luisa Vezzali

“La vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti” John Lennon
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lampaDINA e lampaDario
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Dina & Dario
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lampaDINA e lampaDario
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Dina & Dario
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dany61
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Dimitris Kosmòpulos

Hemìfthoron*

Stasera ti supererò.
Ma come potrò scordare
ciò che appresi? Essere un albero
con le radici al centro
di una vecchia ferita. Dal cuore
mi spuntavano rami e foglie.

Cos'è avvenuto stasera
che cambia volto la Luna?
Guarda, porta dal futuro
candeline e oggetti in mano.
Dai prati della morte
fumo d'amore ed erba.

Vento tra le mie fronde.
Le sue ali sono il mio fuoco.
Rami grigi, foglie gialle –
nel brivido esisto.
Sento il colombo nero
per anni mia stella e cero.

Distendo rami nella foresta
del mondo per superarlo.

*Simbolo nella scala della melurgia bizantina,
indica il tono di voce deminuto.
Traduzione di Nicola Crocetti

“La vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti” John Lennon
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André Frénaud


La vita, il vento

La vita che alla sfuggita abborracciava
la tempesta primaverile e proseguiva,
la vita – il vento dalle cento lusinghe
mai mantenute – che procedeva,
le sue cento imprese e il disastro
e proseguiva, la vita, il vento,
la vita, così dolce quando le aggrada.

Traduzione di Ornella Sobrero

“La vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti” John Lennon
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Enza
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Andrew Motion


Sul tavolo

Ci terrei a precisare che ho comprato
questa tovaglia
con il suo semplice disegno ripetitivo
di fiori viola scuro non menzionati
da alcun botanico
perché mi ricorda quel vestito stampato
che indossavi
l’estate che ci siamo conosciuti (un vestito
– hai sempre sostenuto –
che non ti ho mai detto che mi piaceva).
Be’, mi piaceva, sai. Mi piaceva.
Mi piaceva un sacco, che ci fossi tu dentro
oppure no.

Come è potuto uscirsene così in silenzio
dalla nostra vita?
Detesto (proprio detesto) l’idea di qualche
altro sedere
che faccia svolazzare a sinistra e a destra
quelle pesanti corolle.
Detesto ancor più immaginarmelo sgretolarsi
in una discarica
o fatto a brandelli – un pezzo qui che pulisce
un’astina dell’olio
un pezzo là intorno a una crepa in un tubo
di piombo.

È passato tanto tempo ormai, amore mio,
tanto tempo,
ma stanotte proprio come la nostra prima
notte sono qua,
la testa leggera tra le mani e il bicchiere
pieno,
che fisso i grossi petali sonnolenti fino
a quando si mettono in moto,
amandoli ma con il desiderio di sollevarli,
di schiuderli,
persino di farli a pezzi, se questo è quanto
ci vuole per arrivare
alla tua bellissima pelle, desiderosa,
calda, candida come la luna.

Traduzione di Helena Sanson

“La vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti” John Lennon
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Dimitris Kosmòpulos

Amleto a Roma

Portano le loro teste mozze nei sacchetti del supermercato.
E io stringo i pugni. Ho le tasche piene di pietre.
Figlio mio, Andrjusa, mi vergogno a trovarmi di fronte a te.Dovunque mietono vite.
La tua vita nella mia anima. La mia anima si rannuvola.
Signore,
conta qualcosa il fuoco della mia vita? O Signore, medico nella mia infermità.

Con la mia pena, pane secco, si è instillata dentro di me la rugiada di Dio.
Un peso leggerissimo mi consolida il cuore. Mi inchino alla Gloria
di Dio. Avverto la mia santa morte. Acqua, pioggia, fiumi, neve –
vento dalle foreste della patria marcisce dentro di me. Chiarore stellare
sul soffitto. E la notte, la morte cacciatrice, mi perde.

Il sole, se è italiano, è pallido con il cuore di ferro,
ma c'è anche il Sole di mezzanotte, acqua allegra e fontana di rosa.
Signore, sovrano della mia vita, ho ricevuto il tuo nome come abito e mantello. Che debito
dovrò saldare, orfano nei quadrivi, vapore, incenso che arde.
Ho avuto nostalgia di un regno, mozzicone di candela, e la tua aura mia uniforme.
Traduzione di Nicola Crocetti

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Aleksander Puskin


Che t'importa del mio nome?
Esso morirà, come il triste rumore
Dell'onda, che batte contro una lontana riva,
Come un suono notturno in un profondo bosco.

Esso sul foglietto di un album
Lascerà una morta traccia, simile
Al ricamo di una iscrizione tombale
In una lingua sconosciuta.

Che c'è in questo nome? Da tempo dimenticato
Nelle agitazioni nuove e ribelli,
Alla tua anima esso non darà
Puri, teneri ricordi.

Ma nel giorno della tristezza, nella quiete,
Pronuncialo con nostalgia;
Di': c'è una memoria di me,
C'è al mondo un cuore nel quale vivo...


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L'amore è la strada più bella..
da percorrere tenendosi per mano..
non preoccupiamoci di dove arriverà,.
perché..
qualsiasi fine avrà..
sarà un paradiso..
stefy cirilli

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John Ashbery

Certi alberi

Questi sono stupefacenti: accosto
ciascuno al vicino, come se il discorso
fosse una messa in scena silente.
Dandoci stamane casualmente

appuntamento così tanto via
dal mondo quanto in armonia
con esso, io e te
siamo d’improvviso cio che

gli alberi cercano di dirci
che siamo: che il loro mero esserci
ha significato; che potremo toccare
presto, e amare e spiegare.

E lieti di non avere inventato
noi tale grazia, ne siamo circondati:
un silenzio già colmo di rumori,
una tela su cui affiori

un coro di sorrisi, d’inverno, un mattino.
Posti in una luce sconcertante, e in cammino,
i nostri giorni indossano una tale reticenza
che questi accenti paiono la loro
stessa resistenza.
Traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan

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A Mia Madre, Edmondo De Amicis
Non sempre il tempo la beltà cancella
o la sfioran le lacrime e gli affanni
mia madre ha sessant’anni e più la guardo
e più mi sembra bella.
Non ha un accento, un guardo, un riso
che non mi tocchi dolcemente il cuore.
Ah se fossi pittore, farei tutta la vita
il suo ritratto.
Vorrei ritrarla quando inchina il viso
perch’io le baci la sua treccia bianca
e quando inferma e stanca,
nasconde il suo dolor sotto un sorriso.
Ah se fosse un mio prego in cielo accolto
non chiederei al gran pittore d’Urbino
il pennello divino per coronar di gloria
il suo bel volto.
Vorrei poter cangiar vita con vita,
darle tutto il vigor degli anni miei
Vorrei veder me vecchio e lei…
dal sacrificio mio ringiovanita!

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dany61
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Joseph Brodsky

Hai scordato quel villaggio perso tra cortine e cortine
di paludi in una terra che è tutta boschi di pini
dove anche le strade sono solo pozze e sterpaglia e negli orti
non sta mai uno spauracchio: non li vale il raccolto.
La vecchia Nastasia sarà morta e anche Pesterev, certo,
e, se non lo è, se ne sta seduto in cantina, ubriaco perso,
o sta costruendo qualcosa con la testata del nostro letto:
una specie di steccato, forse, o una parte del tetto.
E in inverno tagliano legna laggiù e solo di rape si vive,
e una stella ammicca per tutto il fumo in un cielo di neve,
e non una sposa in bianco è alla finestra ma il grigio ornato
della polvere, più il vuoto dove un tempo abbiamo amato.
Traduzione di Matteo Campagnoli

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Libro di August Strindberg consigliato

Il sogno
Curatore: G. Zampa
Editore: Adelphi, 1994

Scritto nel 1901, questo dramma si pone sulla soglia del secolo come prefigurazione di tutte le audacie del teatro moderno. "Tutto può avvenire, tutto è possibile e probabile. Tempo e spazio non esistono; su base minima di realtà, l'immaginazione disegna nuovi motivi: un misto di ricordi, esperienze, invenzioni, assurdità e improvvisazioni". Così scriveva Strindberg presentando Il sogno. In effetti anche il lettore di oggi rimane stupefatto davanti alla naturalezza con cui Strindberg scavalca tutte le convenzioni teatrali del tempo per addentrarsi in una nuova regione, in una nuova forma, che si potrebbe definire "teatro psichico".

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Pierluigi Cappello


Una lettura

Pioveva fuori.
Aprii il libro di Odisseo
e il libro cominciò con la sconfitta.
Sotto, immaginai, c’era la fitta
schiera di cimieri e alte controcielo
le aste dei barbari di Grecia;
sulle muraglie rosse,
ma in lontananza, e delicate come
il verde degli steli fra le pietre,
quelle dei fanti d’Ilio sbigottiti.
L’incantatore greco,
qui mi conduce e qui trema – pensai –
in mezzo a questa piana di polveri e di terre
che hanno veduto rompersi difesa
e forza e rovinare all’urto
del combattente acheo
le armi d’Ettore, il fuoriclasse d’Asia.
Pioveva fuori,
dentro l’oscillare del pendolo
tagliava minuti e il frusciare
teso dei fogli.
Per tre volte intorno alle mura
e trenta miglia almeno,
legati gli stinchi al carro di guerra,
sconcio e scempio facendone,
Achille trascinò le spoglie
del principe di Priamo
finché, estenuata, la ferocia
ricadde come polvere sul campo.
Lì posava la testa bruna d’Ettore
e potevi vedere
di sotto le palpebre malchiuse
il bianco delle sclere rovesciate
e potevi sentire,
ma prima che Achille in alto levasse
via nel cielo
asta di frassino e urlo di vittoria,
salire dal corpo del vinto
il silenzio del vincitore vero.

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Anna Maria Carpi. "Far misteri fra parola e cosa"
La mia lingua è inattuale?
Io piaccio
a giovanissimi ignoti che mi scrivono
su facebook. Quale faccia,
se ogni giorno la cambiano.
E perché piaccio? Perché parlo semplice?
Sentono in me a distanza
il cucciolo pezzato
che fa salti e che abbaia
perché, lui così crede,
la poesia emana dalla vita?

Poi sparsi non datati ho dei seguaci
seri nerobarbuti
che ancora guardano alla montagna sacra
dove senza di noi,
dissennata, da sé,
la lingua compie ancora dei prodigi.

Poi vedo che mi apprezzano
i fermi
i senza fede,
sono onesti e di solida cultura
e credono all'io interno, solitario.

E poi ci sono i vecchi,
voglio dire i nati nei Cinquanta
o nei Sessanta, che in molti già si sentono
nel vento della morte. Così presto, perché?
Sono loro i compagni che vorrei
ma quel che in me gli manca è la bravura
di far misteri fra parola e cosa.

Qual è stato il mio tempo? Io non lo so.

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Come è stato possibile che un vizio, il quale distruggerebbe il genere umano se fosse universale, un ignobile attentato contro la natura, sia tuttavia naturale? Essa sembra l’ultimo gradino della corruzione deliberata; e tuttavia è il retaggio consueto di quanti non hanno avuto ancora il tempo di essere corrotti. Entra in cuori del tutto nuovi, che non hanno ancora conosciuto né l’ambizione, né la frode, né la brama di ricchezze. È la cieca giovinezza che, per un istinto mal conosciuto, si precipita in quel tipo di disordine al momento di uscire dall'infanzia, come pure nell'onanismo.
Voltaire

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Philip Larkin

Mattino infine: là nella neve

Mattino infine: là nella neve le tue
lievi impronte d'arrivo e di ritorno.
Null'altro ci ha lasciato la notte di visibile,

non la candela, il vino bevuto a metà,
né il tocco della gioia; soltanto questo segno
della tua vita che alla mia cammina.

Finché la pioggia le cancelli, e resti
la verità cui ci svegliò il mattino;
felicità o dolore non sappiamo.

Traduzione di Silvio Raffo

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Friedrich Nietzsche

Il sole declina (1)

Non a lungo avrai ancora sete,
mio cuore bruciato.
C’è una promessa nell’aria,
mi soffia contro da bocche sconosciute:
il grande fresco viene.

A mezzogiorno il mio sole era caldo
sopra di me. Benvenuti, voi che venite:
voi venti improvvisi,
voi freschi spiriti del pomeriggio.

L’aria corre straniera e pura.
Non mi guarda la notte
di lato, con un obliquo
sguardo di seduzione?
Resta saldo, mio cuore ardito,
non chiedere perché.

Traduzione di Pino Menzio

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Roberto Coppini


Non conta dire
che un albero è bello, importa
sapere che perde le foglie
e come rinsalda la propria forma
appena fuori dalla terra, che ha tronco,
legno, corteccia – per non parlare
delle altre accezioni: albero maestro,
di trasmissione, genealogico, del bene
e del male, della vita, della croce. Come inspira
espira ossigeno anidride
carbonica, si inumidisce, evapora,
accresce anelli
in corrispondenza di anni e come
si ripete sotterraneo – sistema radicale
solitamente sviluppato come quello aereo.
Che è misurabile come il volume
di un solido, la pressione sanguigna,
la rotazione dei pianeti – incommensurabile
anche.

“La vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti” John Lennon
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Enza
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Donata Berra


Come salvarti, dimmelo, cuor mio,
quando ti aggraffa lei tra grinfie adunche,
quando si svela a te, che ne vacilli,
odorosa di molli ombre muschiate,
come sottrarti alle sue rose nere?

Ma io mi lascio scorrere dal fiume:
ricordi Ofelia? Sposa alla corrente?
Mi lascio risucchiare dalla luna
per sciogliermi, ed entrar nelle tue notti
scendendo a benedirle in raggi d'oro.

“La vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti” John Lennon
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“Non ci sono molti uomini
a disposizione a Hollywood.
Sapete com'è:
o sono già sposati,
o stanno divorziando,
o vogliono farti i capelli.”



Dina & Dario
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dany61
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Yves Bonnefoy
Cappella Brancacci
Fioco lume della notte di gennaio sulle lastre,
Quando avevamo detto che non tutto è destinato a morire!
Sentivo più avanti in un’ombra somigliante
Un passo di ogni sera che scendeva verso il mare.
Ciò che rinserro in me non è forse che un’ombra,
Ma seppi distinguervi un viso eterno.
Così avevamo preso verso affreschi oscuri
Il vano cammino delle strade impure dell’inverno.
Traduzione di Maria Clelia Cardona

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Francis Ledwidge

Un canto

Sulle sue ali incontro a te è volato via il mio amore,
in luoghi solitari dove posano i tuoi passi
e passato come antica pena il rapido acquazzone
dilagano le stelle. Come lo vorrei volando
giungere alla tua verde solitudine di selve
e sentirti cantare ai suoni delle foglie e degli uccelli,
ma provo una tristezza fonda più del fondo
dove scende la parola, ché giammai noi due ci
riavvicineremo.

Solo avessi terre ricche, greggi in coro
e fienili di riposte messi bionde,
una casa grande con malvoni rampicanti
e giovani domestiche che cantano nei campi,
mi ameresti, ma non ho raminghi armenti,
le mie sole ricchezze sono i canti dell’amore per te,
e ora che sei perduta tengo dietro a questa vita
di tristezza fonda più del fondo dove scende la parola.
Traduzione di Alessandro Gentili

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Adam Zagajewski

Luglio

Luglio, i merli hanno ormai smesso di cantare.
Sono seduto su una panchina sulla riva di un fiume lento,
sento la lite piena d'odio di due amanti
che non conosco né mai conoscerò.

Gli sportivi sudati corrono per il viale.
Indifferentemente luccica il sole del mattino
sulla scura acqua tranquilla
che è la personificazione della passività.

Un ragazzino porta una busta di plastica
con la sfolgorante scritta Men's Health.
Le anime non s'incontrano quasi mai,
i corpi combattono l'uno con l'altro sotto
la cortina della tenebra.

A notte giunge la pioggia delicata come un haiku.
All'alba balbettano lievi campane.
Finché noi siamo vivi.


Traduzione di Marco Bruno

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Li Bai
83. Bevendo da solo sotto la luna
Secondo componimento

Non fosse amato il vino in Cielo,
non ci sarebbe la Stella del vino lassù;
non fosse amato il vino in Terra,
non avremmo la Sorgente del vino quaggiù.
Tanto amano il vino il Cielo e la Terra,
che nell'amarlo non si reca offesa al Cielo.
Già sentii che il vino chiaro si paragona al saggio,
inoltre si dice che come il virtuoso è quello torbido.
Saggi e virtuosi già tanto vino hanno bevuto,
quale bisogno avremmo noi di ricercare l'immortalità?
Tre coppe e alla Grande Via mi congiungo,
una brocca e mi unisco alla Natura.
Soltanto del piacere d'esser brillo ho desiderio,
che mai ai sobri ciò sia raccontato.


Traduzione di Pietro De Laurentis



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Sergio Solmi

La rosa

La rosa
che l'inverno dischiuse,
svolse, innervò, arricciò,
vetrificò
d'incarnatini zuccheri, venò
d'impercettibile sangue. Fissata
nel suo gelo oltrevita, la penso
perfetto emblema d'un giorno, a disfarsi
non destinata foglia
dopo foglia nel molle
sfacelo delle stagioni, ma come
aereo, spettrale cristallo, di colpo
a frangersi.


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Czeslaw Milosz

Elegia

Non l’oblio eterno, e nemmeno il ricordo,
la nebbia sui monti o il chiasso cittadino
quietano il mondo. Dopo anni di guerre
sulla croce o la pietra un uccello canta
come già sopra le rovine di Troia.

Compagno l’amore, compagni il cibo e il bere,
ma l’occhio lungimirante non si volse.
Un lume feroce brucia appesantite
palpebre piene di sonno, e silenzioso
ci ammonisce il tempo, prima di passare

oltre la carne. Dolci animali fedeli,
creature fuggevoli tormentano
inutili mani nell’estasi rapprese.
Ed una voce sorge dalla terra:
nostra progenie, ombra! dunque passammo
nell’invocarti tanto tempo invano?

Parigi 1935

Traduzione di Valeria Rossella

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Ogni giorno è diverso dall’altro, ogni alba porta con sè il suo speciale miracolo, il suo istante magico, in cui si distruggono gli universi passati e nascono nuove stelle. I Navajo, infatti, insegnano ai loro bambini che ogni mattina il sole che sorge è un sole nuovo. Nasce ogni giorno, vive solo per quel giorno, muore alla sera e non ritornerà più. Dicono ai loro piccoli: il sole ha solo questo giorno, un giorno. Vivi bene la tua vita in modo che il sole non abbia sprecato il suo tempo prezioso.
(Paulo Coelho)

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Olav H. Hauge

Giornata d’inverno

Cosa vuole questa luce strana?
Il giorno è sotto stelle bianche.
E i sogni germogliano sotto la luna.

La montagna ha parole racchiuse dentro di sé
ma il petto è rigido e la barba gelata.
Il fiume risponde con brevi riflessi, si apre per
un attimo breve,
e i pini offrono un po’ di resina.
Il regalo scuote la neve
e il cavallo freme con il muso coperto di brina.
La legna spreme fuori una crosta di grasso gelato,
e il ghiaccio divora il taglio della scure.

Ma ora la vetta manda in mille pezzi il disco del sole, torce
il suo sguardo furtivo verso un mondo lontano.
Gli alti abeti candele sulle creste dei monti si spengono,
e gli alberi si acquietano nel bosco per la notte.
Il fiume sospira nella gola, condensa in ghiaccio
la nostalgia di mare,
e le pietre dormono sotto la neve con sogni verdi nel cuore.


Traduzione di Fulvio Ferrari

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dany61 ha scritto:

Olav H. Hauge

Giornata d’inverno

Cosa vuole questa luce strana?
Il giorno è sotto stelle bianche.
E i sogni germogliano sotto la luna.

La montagna ha parole racchiuse dentro di sé
ma il petto è rigido e la barba gelata.
Il fiume risponde con brevi riflessi, si apre per
un attimo breve,
e i pini offrono un po’ di resina.
Il regalo scuote la neve
e il cavallo freme con il muso coperto di brina.
La legna spreme fuori una crosta di grasso gelato,
e il ghiaccio divora il taglio della scure.

Ma ora la vetta manda in mille pezzi il disco del sole, torce
il suo sguardo furtivo verso un mondo lontano.
Gli alti abeti candele sulle creste dei monti si spengono,
e gli alberi si acquietano nel bosco per la notte.
Il fiume sospira nella gola, condensa in ghiaccio
la nostalgia di mare,
e le pietre dormono sotto la neve con sogni verdi nel cuore.


Traduzione di Fulvio Ferrari




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Juan Sánchez Peláez


Le lettere d'amore che scrissi nella mia infanzia erano
memoria
Di un futuro paradiso perduto. La rotta incerta della mia
Speranza stava segnata sulle colline musicali del mio
Paese natale. Quello che io inseguivo era la cerva fragile,
il levriero
Effimero, la bellezza della pietra che si trasforma in angelo.

(...)


Traduzione di Jordi Valentini

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Vai via
Vai da solo
Portati una mappa
Viaggia leggero
Se devi portarti un cellulare, evita di usarlo
Viaggia via terra
Attraversa a piedi una frontiera
Tieni un diario
Leggi un romanzo che non ha niente a che fare con il luogo in cui sei
Fai amicizia con qualcuno
(Paul Theroux)

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Ewa Lipska

Eclisse di luna

La prima frase. Immobile lucertola
nelle cave di pietra della stanza.
Mal di testa. Vuoto impagliato, imbottito.
Non si ode nessuna idea.

Guardo attraverso un binocolo grigie fibre di carta.
Il ricattatore sta già aspettando davanti alla porta.
Nello stesso momento Hölderlin
viene colpito da un attacco di furia. Mi chino

sul punto. Interpunzione funebre.
Isola nera con la gola serrata del golfo.
Osservo l'eclisse di luna.
Il resto lo devo ripensare.


Traduzione di Marco Bruno

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Essere, o non essere, questo è il dilemma: / se sia più nobile nella mente soffrire / i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna / o prendere le armi contro un mare di affanni / e, contrastandoli, porre loro fine? Morire, dormire… / nient’altro, e con un sonno dire che poniamo fine / al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali / di cui è erede la carne: è una conclusione / da desiderarsi devotamente. Morire, dormire. / Dormire, forse sognare. Sì, qui è l’ostacolo, / perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire / dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale / deve farci esitare. È questo lo scrupolo / che dà alla sventura una vita così lunga. / Perché chi sopporterebbe le frustate e gli scherni del tempo, / il torto dell’oppressore, la contumelia dell’uomo superbo, / gli spasimi dell’amore disprezzato, il ritardo della legge, / l’insolenza delle cariche ufficiali, e il disprezzo / che il merito paziente riceve dagli indegni, / quando egli stesso potrebbe darsi quietanza / con un semplice stiletto? Chi porterebbe fardelli, / grugnendo e sudando sotto il peso di una vita faticosa, / se non fosse che il terrore di qualcosa dopo la morte, / il paese inesplorato dalla cui frontiera / nessun viaggiatore fa ritorno, sconcerta la volontà / e ci fa sopportare i mali che abbiamo / piuttosto che accorrere verso altri che ci sono ignoti? / Così la coscienza ci rende tutti codardi, / e così il colore naturale della risolutezza / è reso malsano dalla pallida cera del pensiero, / e imprese di grande altezza e momento / per questa ragione deviano dal loro corso / e perdono il nome di azione.
William Shakespeare

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Thomas Bernhard

1

Quest'anno è come l'anno di mille anni fa,
noi portiamo la brocca e sferziamo la schiena della vacca,
falciamo e non sappiamo nulla dell'inverno,
beviamo mosto e non sappiamo nulla,
presto saremo dimenticati
e i versi svaniranno come neve davanti alla casa.

Quest'anno è come l'anno di mille anni fa,
guardiamo nel bosco come nella stalla del mondo,
mentiamo e intrecciamo cesti per mele e pere,
dormiamo mentre le intemperie consumano
davanti alla porta le nostre scarpe infangate.

Quest'anno è come l'anno di mille anni fa,
non sappiamo nulla,
non sappiamo nulla del declino,
delle città sprofondate, del vortice in cui sono affogati
cavalli e uomini.

Traduzione di Samir Thabet

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Enza ha scritto:









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Alejandra Pizarnik

Salvezza

Fugge l'isola
E la fanciulla torna a scalare il vento
e a scoprire la morte dell'uccello profeta
Adesso
è il fuoco sottomesso
Adesso
è la carne
la foglia
la pietra
perduti nella fonte del tormento
come il navigante nell'orrore della civiltà
che purifica la caduta della notte
Adesso
la fanciulla trova la maschera dell'infinito
e abbatte il muro della poesia.

Traduzione di Claudio Cinti

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Saint-John Perse

Notturno

(...)
Eccoli qui prossimi a maturare, questi frutti
d'un altra riva. "Sole dell'essere, nascondimi"
– parola del fuggiasco. E dirà chi l'avrà visto
passare: chi fu quest'uomo e quale la sua casa?
Andava solo nel fuoco del giorno delle notti
la porpora a mostrare?... Sole dell'essere, Principe
e Maestro! le opere nostre sono sparse, i compiti
senza onore, le messi senza mietitura: la legatrice
di covoni attende al fondo della sera. Eccoli qui
tinti del nostro sangue, questi frutti di tempestosa
sorte.

Con il suo passo di legatrice di covoni la vita se
ne va, senza odio e senza ricompensa.

Traduzione di Giorgio Cittadini

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Michael Donhauser


E vi era un cullare, vi era un
respiro e trascorreva nelle chiome
degli alberi sì che le foglie si
piegavano, si rizzavano, impetuose

e tremanti quando il vento dell’autunno
comprimeva i rami finché lentamente
il fremito si affievoliva e più leggero
fluttuava solo il bordo di un giardino:
io ero vissuto vicino a questo fremere
singhiozzare, precipitare e più fredde erano
ora le notti sì che le dalie erano appannate
di brina bianca, scendevano
le cornacchie dai monti nel villaggio
e stavano sulla sommità dei tetti
però invano si allineava immagine
ad immagine per formare un racconto, ché

del tutto solo restava l’oscuro gorgogliare
della fontana e abbandonati se ne stavano
i luoghi con l’odore del freddo, dei
cavalli – sentivo mettergli la ferratura

nelle stalle, sentivo l’odore del fumo della
ramaglia bruciata, la coperta di nuvole ora
si strappava, ora si ricomponeva e così
se ne andavano i giorni, se ne andava l’anno


Traduzione di Gio Batta Bucciol


“La vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti” John Lennon
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I figli sono come gli aquiloni: Insegnerai a volare ma non voleranno il tuo volo. Insegnerai a sognare ma non sogneranno il tuo sogno. Insegnerai a vivere ma non vivranno la tua vita. Ma in ogni volo, in ogni sogno e in ogni vita rimarrà per sempre l’impronta dell’insegnamento ricevuto.

Madre Teresa di Calcutta

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Prima di reagire, pensa,
prima di criticare, aspetta;
prima di pregare, perdona;
prima di pretendere, dona;
prima di arrenderti, provaci.
Madre Teresa Di Calcutta

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Ghiannis Ritsos

Rinvio calcolato

Bella esce dal porto la nave. Il fumo rosa
nella polvere d'oro della sera. Dunque,
per quante volte ti abbiano rifiutato o tu abbia rifiutato,
una casa bianca sul colle chiede il tuo sguardo,
un bambino si bagna i piedi in mare sorridendo,
un uccello di notte canta anche per te.
Dunque, rinviamo di nuovo; incoroniamo
sul vetro incrinato questa piccola farfalla.

Karlòvasi (Samo), 29.VI.87


Traduzione di Nicola Crocetti

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Pierluigi Cappello
Una rosa
Che cos'è quella rosa sul tavolo
ferma nella sua freschezza come un lago alpino
alta nel suo silenzio più del fragore
dei quotidiani affastellati lì accanto
più del disordine dei notiziari,
la concitazione delle chiavi di casa.
Che cos'è questa parola verdeggiante d'amore
se non il suolo dove lasciarsi cadere
la penombra di un bosco da attraversare
e la mano che apre e prende la mia
e mi conduce a me.

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Mario Luzi

(I Magi)

Non ha volto, si cela
dentro sé il tempo –
così ci confonde
esso, ci gioca
con i suoi inganni
a volte
duramente,
duramente ci disorienta.

Ed ecco, in un frangente
prima non osservato
o in uno
sorpassato
dal flussoe dimenticato
o in altro ancora
rimasto
oscuro dietro le dune,
qua o là,
qua o là, seme sepolto
in terra molto arida
e molto pesticciata,
potrebbe all'improvviso
il futuro disserrarsi
in luci, sfavillare il tempo
dove? da una qualsiasi parte.

Andavano cauti loro, i Magi,
occhiuto era il viaggio
in avanti
o a ritroso? procedendo
o tornando
ai luoghi
d'un'ignota profezia?
Sapevano e non sapevano
da sempre la doppiezza del cammino.
L'avvenire o l'avvenuto...
dove stava il punto?
e il segno?
da dove era possibile il richiamo?
Non è ricaduta
inerte nel passato
e neppure regressione
nel guscio delle cose già sapute
questo
ritorno della strada
spesso
su se medesima,
ma nuova
conoscenza, forse,
ed illuminazione
di un bene avuto e non ancora inteso –
dice
uno di loro
e gli altri lo comprendono
sì e no, ma sanno
ed ignorano all'unisono...
e proseguono
insieme,
vanno e vengono
insieme nel va e vieni del viaggio.

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Qualsiasi cosa è una perdita e spreco di tempo: tranne fott*** di gusto
o creare qualcosa di buono o guarire o correr dietro a una specie di fantasma-amore-felicità.
Tanto tutti finiamo nel mondezzaio della sconfitta: chiamala morte, chiamala errore.
(Charles Bukowski)



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Vivian Lamarque

Alla luna

Disabitata la luna?
Ma è lei il suo bianco abitante.
Condomina e casa
abitante e abitata
inquilina pallida
finestrella e affacciata.


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Jaime Sabines


Lento amaro animale
che sono, che sono stato,
amaro per il grumo di polvere, per l'acqua, il vento
che nella prima generazione dell'uomo chiedevo a Dio.

Amaro come quei minerali amari
che nelle notti di perfetta solitudine
– maledetta e rovinosa solitudine
senza eguali –
s'apprendono alla gola
e, croste di silenzio,
soffocano, uccidono, resuscitano.

Amaro come quella voce amara
prenatale, pre-sostanziale, che proferì
il nostro verbo, che percorse il nostro cammino,
che morì la nostra morte,
e che in ogni momento sveliamo.

Amaro da dentro,
da ciò che non sono,
– la mia pelle come la mia lingua –
dal primo essere vivente,
annunciazione e profezia.

Lento da tanti secoli,
remoto – non c'è nulla dapprima –,
distante, lontano, ignoto.

Lento, amaro animale
che sono, che sono stato.

Traduzione di Angela Saliani

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Giovanni Raboni

Un giorno o l’altro ti lascio, un giorno
dopo l’altro ti lascio, anima mia.
Per gelosia di vecchio, per paura
di perderti – o perché
avrò smesso di vivere, soltanto.
Però sto fermo, intanto,
come sta fermo un ramo
su cui sta fermo un passero, m’incanto...

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Kate Clanchy

Incantesimo

Se, al tuo scrittoio, metti da parte il lavoro,
prendi giù un libro, cerchi questi versi
e leggi che io sto lì in ginocchio, l'orecchio
contro il tuo petto dove i muscoli
si inarcano come grossi tomi che si aprono, in curve
di gabbiani, attraverso le onde sonore del tuo cuore,

e che mi passi le dita fra i capelli,
sfilando dalla massa ribelle ciocche
sottili come segnalibri di seta scarlatta,
e mi accarezzi le guance come se lisciassi
veline tra rigide illustrazioni,
e mi tiri verso di te

per leggermi solo negli occhi, vedrai,
in monocromo argento, te stesso,
seduto al tuo scrittoio, prendere giù un libro,
cercare questi versi, e allora, amore,
non saprai chi di noi due legge
ora, chi scrive, e chi è scritto.

Traduzione di Giorgia Sensi

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Philippe Jaccottet
L’Ignorante

Più invecchio e più io cresco in ignoranza,
meno possiedo e regno più ho vissuto.
Quello che ho è uno spazio volta a volta
innevato o lucente, mai abitato. E il donatore
dov’è, la guida od il guardiano? Io rimango
nella mia stanza, e taccio (entra il silenzio
come un servo che venga a riordinare),
e attendo che a una a una le menzogne
scompaiano: cosa resta? Cosa rimane a questo moribondo
che gli impedisce ancora di morire? Quale forza
lo fa ancora parlare tra i suoi muri?
Potrei saperlo, io, l’ignaro e l’inquieto? Ma la sento
parlare veramente, e ciò che dice
penetra con il giorno, anche se è vago:

“Come il fuoco, l’amore splende solo
sulla mancanza, e sopra la beltà dei boschi in cenere…”
Traduzione di Fabio Pusterla

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Kostas Koutsourelis

Primi astronauti

I primi astronauti sulla Luna,
due anni e due mesi prima di Armstrong,
due anni e due mesi prima di Aldrin,
furono una colonia di batteri,
un gruppo del tipo streptococcus mitis,
giunti con il Surveyor 3
il 20 aprile del ’67,
poche ore prima che ad Atene si avviassero
i cingolati dei colonnelli.

Rimasero due anni e mezzo sulla luna
rannicchiati nella videocamera dello scafo,
là dove li aveva scagliati forse
lo starnuto di un tecnico o di un meccanico
raffreddato della NASA,
quando il lancio era ancora in cantiere.

Quando l’Apollo 12 ricondusse
di nuovo il congegno sulla Terra,
alla fine di novembre del ’69,
alcuni streptococchi erano ancora vivi.
Per novecento e rotti giorni
erano sopravvissuti alla temperatura
prossima allo zero assoluto, senza
caschi di protezione o altri mezzi,
tute per difenderli dai raggi,
o un corpo caldo per nutrirsi.
Per novecento e rotti giorni
avevano resistito nel deserto.
Profughi di questo pianeta, divennero
i suoi primi coloni in cielo.

La loro conquista passò sotto silenzio,
non fu notizia da prima pagina,
non provocò scalpore alcuno.
Erano i giorni del massacro di My Lai,
le vittime in Vietnam si moltiplicavano,
Panagulis era nel carcere di Boghiati,
le notizie grondavano di sangue e stragi,
quanta simpatia poteva avanzare
per il nostos di pochi batteri comuni,
per l’odissea di questi microbi,
davvero, chi aveva motivo di occuparsene?

Così la vicenda fu archiviata.
Gli esperti parlarono di un “rebus”,
alcuni dubitarono che fosse avvenuto così,
non fu rispettata la quarantena
quando ricuperarono la videocamera del Surveyor,
accadde sicuramente così, senz’altro
gli streptococchi entrarono lì dopo.

Meglio così, forse. Non era giusto
che un evento casuale distogliesse
dalle abbaglianti luci della ribalta
le imprese nostre, degli uomini.
È inglorioso, ingiusto accettare
che semplicemente così, senza fatica
né desiderio, alcuni batteri,
creature tanto insignificanti, fossero diventati,
due anni e due mesi prima di Armstrong,
due anni e due mesi prima di Aldrin,
i primi astronauti sulla Luna,
i primi coloni della Terra sull’Altrove.

2019
Traduzione di Nicola Crocetti

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Christine Lavant
Voglio finalmente sapere tutto del dolore!
Rompi la campana di vetro della devozione
e porta via l'ombra del mio angelo.
Voglio andare là, dove la tua mano rinsecchisce
nel cervello dei pazzi, nella crudeltà
di cuori rattrappiti che, morsi dall'ira,
si lacerano da soli per spargere la rabbia
nel sangue del mondo.
Il mio angelo se ne va, con la tenda della grazia
sulle spalle, e una scintilla delle tue braci
ha fuso ora tutto il vetro.
Sono colma di superbia e rumino il coraggio
pazzo e borioso, l'ultimo pane che mi resta
da tutto il raccolto della devozione.
Sei stato molto benevolo, Signore, e molto intelligente,
perché senza di te la campana di vetro l'avrei rotta io.
Adesso voglio dare la caccia al mio cuore con i cani
e farlo sbranare, per risparmiare
un lavoro ributtante alla morte.
Sia grazie a te – ora ne so abbastanza.

Traduzione di Anna Ruchat

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Lucio Mariani

Fine di dicembre

Rari giorni d’inverno quando la tramontana
spezza gli aliti al fiume e tende il cielo
come se contrappunto fosse il giura e invece sono
queste martoriate pietre che bussano ai lastrici
divini, la sola porta impropria perché a Roma
non spettano salvezze. Cosí dicono gli orli delle case
fratturati cristalli d’arabia, trapunti dalle luci
e dai suoni mattini, lo dicono fumando i meccanici topi
e i natali non soffici né sacri, anche lo dicono
le sue morti feriali, la mia coperta corta. Lo ripetono
qui – minimamente – i cerini di lusso che s’accendono
a stento fra le mani di chi non ha piú fede
nell’avvento di un nuovo nord.
In questi rari giorni d’inverno
quando il sole mi pesa cosí poco
sarà bene tenere alta la testa. Forse si vive
altrove.

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Sunay Akin

S'è visto

Non bruciare il bordo alla lettera,
e non parlare d’amore
per pagine e pagine.
Soltanto, mentre chiudi la busta,
calca molto
quelle tue labbra schive.

Traduzione di Laura Rotta e Giampiero Bellingieri

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Erika Burkart

Orto, ora, voce

per Ernst

Non chiamata
esco dai cespugli
le cui radici affondano
nell’orto grande.

Afona,
con la voce che hai tu solo udito,
che in te è rimasta,
ti chiamo
per mostrarti una farfalla,
e noi contempliamo
tempia a tempia
a distanza l’oscuro
messaggero nella luce.

Da un anno all’altro noi andiamo,
andiamo d’ombra in ombra
e sono gli alberi a cui tu fai visita
come fossero, essi, persone,
è la mia voce che domanda:
“Vive ancora Golden Wings, la rosa
sotto l’ambretta,
conti i convolvoli azzurri,
annaffi gli abeti, origli
il respiro delle foglie?”

Senti al di là del muro
il passo che va intorno,
è il sole nel meriggio, volteggia
alto nel cupo azzurro
il nibbio nero.
Traduzione di Remo Fasani

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Milo De Angelis



Poi giungono anche loro, le forze di gravità, a cancellare tutto ciò che è disinvolto e a ricordare l’impresa. La terra e il lievito lottano, ma nessuno attende l’esito del combattimento: è già lotta de#64257;nitiva questa intelligenza che si ghermisce mentre si alza e sa indignarsi con chi le chiede di essere clemente. Se in qualche regione della terra c’è ancora una compravendita dell’ira, una mezzadria perché i bambini siano risparmiati, tutto ciò sarà spezzato. Il suo fulgore infatti, esaurito ogni passatempo, esiste spezzando quanto è appena nato. Questa è l’aurora. Chi patteggiava con la crescita o chiedeva in giro dei pronostici, fugge. L’aurora, la pulsazione che #64257;n dall’inizio congeda i suoi protettori e vede che la morte è giovane. Ecco che una voce racconta. Essa ha trionfato, ma non lo sa: così potrà cantare la vittoria e cantare anche il vincitore, un purissimo pronome.

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Adrienne Rich

Per questo

Se ho teso la mano ai tuoi versi(l’ho fatto)
come a lettere dei morti che ridestano l’animo
da rabdomante cercato la tua fonte
per abbeverare la mia sete
scavato nel mio concime scheletri e petali
che per te dovevano riflettere la luce:

– al lavoro nel mio sotterraneo mangiato dai vermi
roso dai tarli senza patria
ho una scusa?

Se ho sfiorato il tuo dito
con lingua affamata
leccato dal tuo palmo una crepa di sale
se ti ho sognato o pensato
sacca di sangue appena estratto
appeso rossoscuro a un gancio
piú in alto del mio cuore
( tu che comprendi la trasfusione)
a cos’altro dovrei rivolgermi?

Una luce-spia brilla fioca
mentre i fuochi del gas dormono
(un gatto esce in punta di zampa dai fornelli
al gelo notturno)
il linguaggio raro e agile come la verità
scioglie il silenzio piú radicale

L’etica del custode di un faro:
cura di tutti o di nessuno
per questo si può pure dare fuoco ai mobili
Un questo contro cui abbiamo sbattuto
come se la luce potesse essere spenta a estro
il salvataggio negato ad alcuni

e rimanere un faro

Traduzione di Maria LuisaVezzali

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Milo De Angelis



Poi giungono anche loro, le forze di gravità, a cancellare tutto ciò che è disinvolto e a ricordare l’impresa. La terra e il lievito lottano, ma nessuno attende l’esito del combattimento: è già lotta de#64257;nitiva questa intelligenza che si ghermisce mentre si alza e sa indignarsi con chi le chiede di essere clemente. Se in qualche regione della terra c’è ancora una compravendita dell’ira, una mezzadria perché i bambini siano risparmiati, tutto ciò sarà spezzato. Il suo fulgore infatti, esaurito ogni passatempo, esiste spezzando quanto è appena nato. Questa è l’aurora. Chi patteggiava con la crescita o chiedeva in giro dei pronostici, fugge. L’aurora, la pulsazione che #64257;n dall’inizio congeda i suoi protettori e vede che la morte è giovane. Ecco che una voce racconta. Essa ha trionfato, ma non lo sa: così potrà cantare la vittoria e cantare anche il vincitore, un purissimo pronome.

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Adrienne Rich

Per questo

Se ho teso la mano ai tuoi versi(l’ho fatto)
come a lettere dei morti che ridestano l’animo
da rabdomante cercato la tua fonte
per abbeverare la mia sete
scavato nel mio concime scheletri e petali
che per te dovevano riflettere la luce:

– al lavoro nel mio sotterraneo mangiato dai vermi
roso dai tarli senza patria
ho una scusa?

Se ho sfiorato il tuo dito
con lingua affamata
leccato dal tuo palmo una crepa di sale
se ti ho sognato o pensato
sacca di sangue appena estratto
appeso rossoscuro a un gancio
piú in alto del mio cuore
( tu che comprendi la trasfusione)
a cos’altro dovrei rivolgermi?

Una luce-spia brilla fioca
mentre i fuochi del gas dormono
(un gatto esce in punta di zampa dai fornelli
al gelo notturno)
il linguaggio raro e agile come la verità
scioglie il silenzio piú radicale

L’etica del custode di un faro:
cura di tutti o di nessuno
per questo si può pure dare fuoco ai mobili
Un questo contro cui abbiamo sbattuto
come se la luce potesse essere spenta a estro
il salvataggio negato ad alcuni

e rimanere un faro

Traduzione di Maria Luisa Vezzali

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Attila József

L’inventario è pronto

Confido in me fin dall’inizio –
Per chi non ha niente, non è che
costi molto;
ad ogni modo non più che all’animale,
che se ne va
per sempre. Pur avendo paura
ho retto al mio posto – son nato
mi sono messo insieme e mi sono
distinto.
Ho anche pagato, secondo il dovuto
e a chi mi ha datisgrato, l’ho ripagato
con l’amore.
Se donna si è intrattenuta con me per
darmi ad intendere
davvero io l’ho creduta – e si contenti!
Ho lucidato navi, ho impanato
la gramigna,
tra signori intelligenti ho fatto il finto
tonto.
Ho smerciato semi di girasole, pane, libri
giornali, versi – quel che al momento
era più facile.
Non in lotte trionfali, né col cappio
al collo,
avrò fine in un letto, come spero a volte.
Come che sia, ormai l’inventario è pronto.
Ho vissuto – e di ciò sono morti altri.

Traduzione di Edith Bruck

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Valery Larbaud

La maschera

Sempre scrivo con una maschera sul viso;
Sì, una maschera alla moda antica di Venezia,
Lunga, con la fronte compressa,
Affine a un grande muso di raso bianco.
Seduto al mio tavolo, sollevando la testa
Mi contemplo allo specchio, di faccia,
Di tre quarti e osservo
Il profilo infantile e animalesco che amo.
Oh, che un lettore, un mio fratello, a cui parlo
Attraverso questa maschera pallida e brillante,
Venga a deporre un bacio grave e lento
Sulla fronte compressa e sulla guancia tanto pallida,
Ad appoggiare più forte sul mio viso
Quest’altro viso scavato e profumato.

Traduzione di Gio Batta Bucciol

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Attila József

L’inventario è pronto

Confido in me fin dall’inizio –
Per chi non ha niente, non è che
costi molto;
ad ogni modo non più che all’animale,
che se ne va
per sempre. Pur avendo paura
ho retto al mio posto – son nato
mi sono messo insieme e mi sono
distinto.
Ho anche pagato, secondo il dovuto
e a chi mi ha datisgrato, l’ho ripagato
con l’amore.
Se donna si è intrattenuta con me per
darmi ad intendere
davvero io l’ho creduta – e si contenti!
Ho lucidato navi, ho impanato
la gramigna,
tra signori intelligenti ho fatto il finto
tonto.
Ho smerciato semi di girasole, pane, libri
giornali, versi – quel che al momento
era più facile.
Non in lotte trionfali, né col cappio
al collo,
avrò fine in un letto, come spero a volte.
Come che sia, ormai l’inventario è pronto.
Ho vissuto – e di ciò sono morti altri.

Traduzione di Edith Bruck

“La vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti” John Lennon
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Pejo Javorov

Vieni!

I tuoi occhi sono cieli stellati.
I capelli il velo crepuscolare
della tarda sera, i tuoi capelli!
Il tuo respiro – fresco, di fanciulla,
è il fresco alito del sud che dà vita,
uno zefiro addormentato in mezzo ai fiori.

Vieni, morta e fredda è la giornata.
In questa notte di luna, coi capelli sciolti,
china su di me,
vieni e respira sul mio volto,
vieni e riscalda il freddo cuore,
in questa notte di luna, sotto i cieli stellati.

Traduzione di Valeria Salvini

“La vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti” John Lennon
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Patrick Kavanagh
Avvento
Troppo abbiamo provato e potuto, amore –
per larga cruna non passa stupore.
Ma qui nella stanza buia dell’Avvento
dove il pane nero e il tè amaro
della penitenza evocheranno il lusso
dell’infanzia, renderemo al Giudizio
il sapere di cui fummo ladri, non maestri.

E la novità che in ogni vecchia cosa
vedevamo bambini: la meraviglia
folgorante in una nera collina dell’Ulster
o lo stupore profetico nel discorso tedioso
di un vecchio stolto si risveglieranno per noi e porteranno
te e me al cancello del cortile a guardare i ginestroni
e i pantani, le strade, le vecchie stalle dove incomincia il Tempo.

Oh dopo Natale non ci sarà bisogno che cerchiamo
la differenza che fa bruciare una vecchia parola -
la sentiremo nelle sospirate ragioni di un movimento
o nelle vie dove sbandano i ragazzi del paese.

E la sentiremo anche nella dignità degli uomini
che scaricano lo sterco sotto gli alberi del giardino,
ovunque la vita sia normalmente abbondante.
Non saremo ricchi, amore mio, e volendo
Dio non chiederemo il pagamento della ragione,
il perché dell’estraneità struggente delle siepi piegate
né analizzeremo il respiro di Dio in un’affermazione normale.
Abbiamo gettato nella spazzatura le monete di fango
che ripagavano il piacere la conoscenza e il sentimento –
E Cristo viene con un fiore di gennaio.

Traduzione di Nicola Gardini

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Herman Melville

Fonti solitarie
Benché voli via lesta la giovinezza,
non guardare al mondo e alla sua mondezza,
né mutare al capriccio del tempo.
Dello scandalo precluditi alla brezza:
fermo stai dove starebbe la Posterità,
fermo stai dove son stati prima gli Antichi.
In fonti solitarie le mani colà,
bevi quel che mai prenderà sentieri obliqui,
saggio una volta e, da lì, saggezza t’implichi.

Traduzione di Antonio Dalla Libera

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Anne Stevenson
Lezione

Ragazzi e ragazze l’inverno persuade
Che è l’amore come neve che cade;
E rende bello tutto quello che tocca
Sebben perisca il fiato della sua bocca.

Traduzione di Carla Buranello

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Erika Burkart
Vento

Nomade venuto da lontano, ignaro di noi,
il vento, l’elemento a me più estraneo,
finché il flutto si placa nell’onda.
Un tempo, al momento dell’alta marea,
quale abbaglio sulla soglia;
pareva invalicabile; all’interno
lo spazio il mondo.
Tu m’hai amata,
io ti ho amato –
amore: polvere che volteggia su di noi
nel chiarore del giugno, quando verdi colline e cielo alto
ci offrono
quello che noi non cogliamo.
Non mancata l’ora,
in cui riposa la mia memoria,
si congela, si acceca, si risveglia,
sa vedere la quotidianità del dì e della notte,
elementare
sotto il tuo respiro, o nomade.
Anche quando ti scateni
in folate di grandine
ti volano incontro gli uccelli del mattino.
Traduzione di Nino Muzzi

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Ghiannis Ritsos

Scolorimento

Più passa il tempo e più ingrandisce il mare.
Contemporaneamente perde i suoi colori,
le cime si spezzano una a una. Innumerevoli ancore
arrugginiscono sulla terraferma. Quella che chiamavamo
libertà che non fosse la perdita? E che non sia
la perdita l'unico guadagno? Dopo
né perdita né guadagno. Niente. Le luci
della dogana e della taverna sul mare spente.
Solo la notte con le sue stelle false.

Traduzione di Nicola Crocetti

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Roberto Rossi Precerutti

Frutti tardivi

Entrare in una vita non tua, quasi
sconosciuta, come se in quei misteri
quieto dimorasse Amore, o i sentieri
di vicine perdite e ombra invasi

fossero d’incomprensibile basica
luce: cosí, con nuova audacia ai neri
confini di un giorno morto, disperi
solo del tuo frutto tardivo, spasimo

di insorte dimenticate parole
a fermare i passi sopra affocati
tappeti, dietro finestre tremende –

sai che tutto, tutto si forma e splende
nell’aperto, nell’alto, o per stipati
piccoli inizi si consuma un sole.

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Pierluigi Cappello
La luce toccata
A Chiusaforte Silvio intrecciava canestri
con mezzo cuore e il cuore dei bambini intorno
io dico ti ho visto nella mia veglia
nel respiro acceso dell’alba
tra il fischio e il silenzio
e le dita andavano di vinco in vinco
come un’acqua nervosa, una spiegazione raccolta
nel tempo dietro questo tempo a mezza veglia
siamo venuti, io con le pupille di bimbo
e allora trattieniti adesso che torno
dentro il tuo odore di povero
nei boschi dove andiamo si dice con lo sguardo
le labbra un profilo chiuso, il passo un passo radicato
qui, dove sono ora, nel battito del giorno alla finestra
nel sonno lasciato, nel millesimo di me
dove ogni debolezza è stata offerta
la pietra aperta, la luce toccata.

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Ana Luísa Amaral

Mediterraneo

i mari di Omero hanno smesso
di portare, snelle, le loro navi

in nome dei senza-nome, continua.
per deserti di sabbia, deserti senza
senso, continua. per i volti nel deserto,
quelli dei senza nome o volto, continua.
in fondo al deserto, gocce di
sangue e granelli di sabbia, la sfinge
nel deserto, continua, nel vero
nome dello spesso fluido che si dice
vitale, in tonnellate giuste, continua.

i divini mulini macinando lenti
fina farina, inutili maree di polvere

Traduzione di Livia Apa

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Questa attenzione sui miei chili è folle e offensiva per le donne.Non sono molto chiacchierata,al massimo esce sempre la solita pappardella sui miei chili. Sempre i chili. Solo i chili. Quanto scocciano e quante cattiverie.
Vogliamo parlare della Magnani, della Mangano o della Loren? Erano donne prosperose e osannate, mentre a me criticano il fondoschiena o il seno abbondante; ma se sono così, cosa ci devo fare? Devo finire sotto i ferri del chirurgo?
Io ero modella, avevo un corpo bellissimo. Poi sono rimasta incinta con una gravidanza problematica. Appena nato Isal ( oggi 8 anni, nato dall’amore con Rossano Laurini) ho ripreso subito a lavorare, allattavo, ero prosperosa, ma non mi aspettavo tanta cattiveria sui social, soprattutto da parte delle donne.I maschi sono più semplici, le donne possono essere perfide, maliziose e aggressive.
Mi hanno rovinato un momento speciale che sognavo da quando ero ragazza....tutti mi attaccavano per il mio cambiamento fisico, quando in quel momento lì avrei voluto più protezione. Avrei voluto essere abbracciata.
Un tempo le critiche mi facevano male, oggi no, mi sono schermata, ho imparato a gestire certe situazioni; oggi piuttosto mi sento toccata come donna.
Non puoi piacere a tutti sicuramente, però sentir parlare sempre dell'aspetto fisico mi stanca. La cellulite ce l'ho, le smagliature pure, ma che devo fare. Siamo donne: fa parte della vita avere periodi in cui ci si sente meglio e alla fine bisogna accettarsi..
Sono aperta alla critica costruttiva, non a quella gratuita. Del resto ci sarà sempre chi critica Se fra un anno perdo venti chili mi diranno che sono depressa, ho un amante e mi sono lasciata con mio marito.
Meglio restare imperfetti ma veri.
Sono e sarò sempre una guerriera.
So quello che voglio, ho le idee chiare su quello che mi piace.
Vanessa Incontrada

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Andrés Trapiello

Sul finire della sera

Sul finire della sera
gli ultimi lembi di luce sostano
sul muro di calce,
collisioni, cenere.
E allora i paesaggi
suonano negli occhi come di smalto
e sembrano persino lacrime,
tanto giungono dolcemente.
Parlo di me poiché temo la nuda
morte delle cose
e che essa venga su questa terrazza,
per restare tranquilla e nella valle silente.
Come nella tazza il tè arabo e verde
o il vecchio libro accanto aperto
hanno raggiunto la loro quiete,
e nella loro calma
sembrano astri che girano in ampie orbite,
così quel vecchio libro e tazza da tè,
questo luogo ricorda e questo momento.
Un giorno verrà che ti chiedi:
che è stato di te, di me, di tutto quello?
e degli occhi
non ci saranno più parole.
Traduzione di Gabriele Morelli

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Yves Bonnefoy
La luce, mutata


Non ci vediamo più nella stessa luce,
Non abbiamo più gli stessi occhi, le stesse mani.
L’albero è più vicino, e la voce delle fonti più viva,
I nostri passi sono più profondi, fra i morti.

Dio che non sei, posa la mano sulla nostra spalla,
Sgrossa il nostro corpo col peso del tuo ritorno,
Mescola compiutamente alle nostre anime gli astri,
Le selve, i gridi degli uccelli, le ombre e i giorni.

Rinuncia a te stesso in noi come un frutto si sfrange,
Cancellaci in te. Disvelaci
Il senso misterioso di ciò che è solo semplice
E sarebbe caduto senza fuoco in parole senza amore.
Traduzione di Maria Clelia Cardona

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Ana Luísa Amaral
What’s in a Name

Mi chiedo cosa c’è in un nome?

Di che spessore è quando lo si riceve,
quali guerre lo accolgono,
parallele?

Lignaggi, terre servili,
razze domate da poche sillabe,
fondamenta della storia in leggi forgiate
a ferro e fuoco?

Estirpato il nome, resterà l’amore,
resterai tu e io – anche nella morte,
anche se solo mito

E anche il mito (ascolta!),
la nostra breve storia
che qualcuno leggerà come materia inerte,
resterà nel sempre di ciò che è umano

E altri
lo raccoglieranno ancora,
quando nel loro secolo ce ne sarà troppo poco

E, amor mio, forza di me maggiore,
saremo per loro come la rosa –

Anzi, come il suo profumo:
sgovernato libero

Traduzione di Livia Apa

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Ana Luísa Amaral

Cose

Dare un nome a queste cose
che sono cose perché la pupilla
cosí le riconosce
e le trasmette a neuroni ripetuti
che si imparano a memoria:
è sempre, comunque,
un compito ridotto

Lo stesso con un viso
la sua tessitura in tono pungente o soave,
la polpa tremula mentre fa tremare
la rete di neuroni

E tanto il cuore

Quello che rimane poi,
una volta che le dimensioni sono definite,
è questo non saper niente di niente
sentire che a poco valgono
queste sillabe

Che ciò nonostante si appoggiano
a declivi e a intagli tiepidi,
vivi di cellule e piccole vene
dove gli avverbi si perdono
e vacillano

O al colore di quegli occhi
che a poco a poco so essere mio,
e che non so coniugare. Solo declinare,
inclinandomici

Per questo, nonostante tutto, parlo di nomi
perché non sono capace
di miglior forma:

Traduzione di Livia Apa

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Ana Luísa Amaral

Uccidere è facile

Ho ucciso (facile!) con un’unghia
una piccola zanzara
atterrata senza licenza e brevetto
su di un foglio

Era di un tono invisibile,
ala senza consistenza di visione
e fece, morta sul foglio, un segno
in quasi niente

Ma era un segno
in resto di magia, pretesto
di una poesia e bruciando la sua linfa
per un tempo minore
che il mio tempo di vita
era comunque
un tempo vivo

Abbattuta senza lancia, né pugnale
né sostanza mortale
(un degno cianuro o stricnina),
è morta, vittima di un’unghia,
ed è tornata polvere:
una corta farina tritata

Ma deve contenere,
come i suoi parenti,
qualcosa di concreto,
sarà, da qui a meno di cento anni,
di una sostanza uguale

quella che alimenta la tibia del poeta,
il viso amato,
la polpa della carta dove mi trovo,
il più minimo punto imperturbabile
di coda di cometa

Traduzione di Livia Apa

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Wendell Berry

La pace delle cose selvagge

Quando la disperazione per il mondo
cresce dentro di me
e mi sveglio di notte al minimo rumore
col timore di ciò che sarà della mia vita
e di quella dei miei figli,
vado a stendermi là dove l’anatra di bosco
riposa sull’acqua in tutto il suo splendore
e si nutre il grande airone.
Entro nella pace delle cose selvagge
che non si complicano la vita per il dolore che verrà.
Giungo al cospetto delle acque calme.
E sento su di me le stelle cieche di giorno
che attendono di mostrare il loro lume. Per un po’
riposo tra le grazie del mondo e sono libero.

Traduzione di Paolo Severini

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Yang Mu

Impronte

Vieni con me nel ronzio delle cicale, nell’inquietudine
alza la testa e conta i cavalli sulla trave
sauri che sollevano polvere
contane gli anni al margine dell’acqua. Tu che dormi
le tue mani sono pitoni

Egli supera il palazzo, procede come l’ombra del sole
sale lentamente
dove siedo a pensare
lasciando quello spazio vuoto a me
il me di ieri

Il posto dove un tempo andavi a bere, tu sei lì
chino la testa e ti guardo
il mestolo blu scivola via sull’acqua
scivolano via le labbra del viandante
dammi ceneri! Dammi silenzio nel clamore
luna e stelle future sono un rosario
contando i grani, la tua mano con un gesto spegne la luce
che cercavo

Nord-nordovest, bel guardiano
venuto dalla foresta, hai udito il lamento delle stelle a
oriente?
Con la luna alla destra, veloci attraversiamo il fiume

1959
Traduzione di Rosa Lombardi

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Ghiannis Ritsos
Scolorimento

Più passa il tempo e più ingrandisce il mare.
Contemporaneamente perde i suoi colori,
le cime si spezzano a una a una. Innumerevoli ancore
arrugginiscono sulla terraferma. Quella che chiamavamo
libertà che non fosse la perdita? E che non sia
la perdita l'unico guadagno? Dopo
né perdita né guadagno. Niente. Le luci
della dogana e della taverna sul mare spente.
Solo la notte con le sue stelle false.
Traduzione di Nicola Crocetti

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Sublime specchio di veraci detti...
Sublime specchio di veraci detti,
mostrami in corpo e in anima qual sono:
capelli, or radi in fronte, e rossi pretti;
lunga statura, e capo a terra prono;

sottil persona in su due stinchi schietti;
bianca pelle, occhi azzurri, aspetto buono;
giusto naso, bel labro, e denti eletti;
pallido in volto, più che un re sul trono:

or duro, acerbo, ora pieghevol, mite;
irato sempre, e non maligno mai;
la mente e il cor meco in perpetua lite:

per lo più mesto, e talor lieto assai,
or stimandomi Achille, ed or Tersite:
uom, se' tu grande, o vil? Muori, e il saprai.
(Vittorio Alfieri)

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Jan Spiewak

Nella mia tasca
Nella mia tasca – un cerbiatto e una stella.
Nella mia tasca – colibrì, una gazzella.

Nei miei capelli – fulmini e nevi.
Nei miei capelli – il cielo sorridente.

Nelle mie mani – una carrozza, bisonti.
Nelle mie mani – pifferi e un violino.
La stella e il cerbiatto, i bisonti, i colibrì,
le nevi, le tormente, la carrozza, i meli.

Ecco le mie meraviglie, ecco i miei tesori,
che il vento spazzerà via.

Traduzione di Paolo Statuti

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Pierre de Ronsard

da Sonetti per Elena
XLIII

Quando sarai ben vecchia, la sera, accanto al fuoco,
dipanando e filando seduta a un lume fioco,
ripetendo i miei versi dirai, meravigliata:
“Nel tempo che ero bella Ronsard mi ha celebrata”.

Sentendo le parole tu non avrai fantesca,
già mezzo sonnacchiosa dopo la sua fatica,
che al nome di Ronsard non si scuota, ormai desta,
e con eterna lode il tuo nome benedica.

Io sarò sottoterra, fantasma disossato,
e tra le ombre e i mirti troverò la mia quiete.
Tu presso il focolare, vegliarda rattrappita,

rimpiangerai l’amore che fiera hai disdegnato.
Non credere al domani e vivi ore liete;
e fin d’ora raccogli le rose della vita.
Traduzione di Maria Luisa Spaziani

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Tomas Tranströmer

Temporale

Passando, s’incontra all’improvviso qui la vecchia
quercia gigantesca, alce pietrificato dalla
chioma sconfinata sulla fortezza nero-verde
del mare di settembre.
Temporale del nord. È il tempo in cui maturano
grappoli di nespole. Vegliando al buio si sentono
scalpitare le costellazioni alle loro poste
in alto sopra l’albero.

Traduzione di Maria Cristina Lombardi

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Richard Wilbur
Luce di giugno

La tua voce, nel chiaro mondo dei giorni di giugno,
mi ha chiamato da fuori la finestra. Stavi lì,
leggera ma composta, come nel giusto sguardo,
fisso e lieve, dell’estate incontestata tutte
le cose elevano le loro sembianze nell’aria intatta.
Il tuo amore pareva allora semplice e intero
come la pera appena colta che mi hai lanciato e il tuo viso
nitido come i puntini e le macchie sulla pelle della pera,
che son sempre promessa di buon vino, accanto a un fuoco
screziato, dalle forme più fatali di qualsiasi grazia umana.
E il tuo dono allegro – oh quando l’ho visto cadermi
tra le mani, attraverso tutta quella luce ingenua,
mi è sembrato benedetto dalla verità e da una gioia nuova
come dev’esser stato il primo, più grande, dono.
Traduzione di Paola Loreto

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Valery Larbaud

La maschera

Sempre scrivo con una maschera sul viso;
Sì, una maschera alla moda antica di Venezia,
Lunga, con la fronte compressa,
Affine a un grande muso di raso bianco.
Seduto al mio tavolo, sollevando la testa
Mi contemplo allo specchio, di faccia,
Di tre quarti e osservo
Il profilo infantile e animalesco che amo.
Oh, che un lettore, un mio fratello, a cui parlo
Attraverso questa maschera pallida e brillante,
Venga a deporre un bacio grave e lento
Sulla fronte compressa e sulla guancia tanto pallida,
Ad appoggiare più forte sul mio viso
Quest’altro viso scavato e profumato.

Traduzione di Gio Batta Bucciol

“La vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti” John Lennon
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dany61
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Lucio Mariani

Mikonos

Sono tornato all’isola dei venti
dove svetta e governa fra i gerani
il girasole.

Dove la canna inarca lance al meltemi
che fa calva la roccia e scala al mare,
farneticando fra rovigli bruni
fra bruni grilli e brune lagartíglie
in concerto di fasci sibilanti sulla battigia,
tentativi di turbine, poi mille costure all’acqua.

Strappa il cielo una nuvola.
Il bavero del vecchio caicco
si gonfia, è un fico maturo,
vola come un messaggio verso Delo
porta sacra del divino intervallo.
Qui una regola di civiltà pietosa
non consentiva nascita né morte.

Laggiú tra le sedie cresciute sulla spiaggia
Chatzidakis piange la sorte del postino
con tutte le corde delle correnti di mare.

Si scorda dove porta la strada.

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Friedrich Nietzsche

Il sole declina (1)

Non a lungo avrai ancora sete,
mio cuore bruciato.
C’è una promessa nell’aria,
mi soffia contro da bocche sconosciute:
il grande fresco viene.

A mezzogiorno il mio sole era caldo
sopra di me. Benvenuti, voi che venite:
voi venti improvvisi,
voi freschi spiriti del pomeriggio.

L’aria corre straniera e pura.
Non mi guarda la notte
di lato, con un obliquo
sguardo di seduzione?
Resta saldo, mio cuore ardito,
non chiedere perché.

Traduzione di Pino Menzio

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Carl Sandburg
Sulla soglia delle tombe

Le civiltà vengono tirate su e buttate giù
come i birilli su una pista da bowling.

Le civiltà finiscono nei carri della spazzatura
e vengono trascinate via come le bucce
di patata o gli avanzi di cibo.

Le civiltà, le opere degli artisti,
degli inventori, dei sognatori di lavoro o d’ingegno,
finiscono nella discarica, l’una dopo l’altra.

Non dite nulla; perché sulla soglia delle tombe
il silenzio è un dono, non dite nulla; perché di fronte
agli epitaffi scritti nel vento, di fronte ai canti di cigno
sospesi nell’aria, il silenzio è un dono; non dite nulla;
dimenticate.

Se un qualche sciocco, chiacchierone, fanfarone, si alza e
dice:
Fondiamo una civiltà in cui le opere sacre e belle possano
durare –

Se un qualche chiassoso idiota si alza e si fa
sentire – buttatelo fuori – mandatelo via – rinchiudetelo
a Leavenworth – ammanettatelo nelle gattabuie di Atlanta
– fatelo mangiare nei piatti di latta a Sing Sing –
dategli l’ergastolo a San Quintino.

È la legge; mentre una civiltà muore e finisce
a mangiare la cenere insieme alle altre civiltà estinte
– è la legge, che tutti i pazzi, luridi sognatori muoiano per
primi –
imbavagliateli, rinchiudeteli, fateli fuori.

E poiché sulla soglia delle tombe il silenzio è un dono,
non dite nulla, sì, non dite nulla – dimenticate.
Traduzione di Franco Lonati

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Carl Sandburg


Contadino dell’Illinois

Seppellite con rispetto questo vecchio contadino
dell’Illinois.
Egli dormiva le notti dell’Illinois della sua vita dopo
giornate di lavoro nei campi di grano dell’Illinois.
Ora cade in un lungo sonno.
Il vento che ascoltava passare fra le spighe e i pennacchi,
il vento che gli accarezzava la rossa barba nei gelidi
mattini, quando la neve si posava bianca sulle gialle
pannocchie nelle ceste e nel granaio,
Lo stesso vento ora soffierà qui dove le sue mani
sogneranno il grano dell’Illinois.
Traduzione di Franco Lonati

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William Wall


Riconoscerei i tuoi passi

il profilo delle tue spalle
il modo in cui pieghi la testa
se camminassi all'orizzonte
a tre miglia di distanza
ovunque ci siano orizzonti
steppe o deserti
riconoscerei i tuoi passi

riconoscerei la tua voce
all'interno di un coro di voci
che canta il più grandioso inno corale
un alleluia inimmaginabile
nella cattedrale più immensa
all'orizzonte di una steppa o di un deserto
riconoscerei la tua voce

riconoscerei i tuoi capelli
in una bottega di stranezze di rame
in una cesta di castagne
nel laboratorio di un orafo
i tuoi capelli rosso oro
in una cattedrale di rame e oro
all'orizzonte di una steppa o di un deserto
riconoscerei i tuoi capelli

riconoscerei i tuoi suoni
durante il sonno
il rumore dei tuoi sogni
se tu fossi il coro
di un'immensa cattedrale
o il rame in un cavo
o la strana creazione di un orafo
all'orizzonte di una steppa o di un deserto
riconoscerei i tuoi suoni
Traduzione di Adele D'Arcangelo

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Carl Sandburg


Miele e sale

(...)
Esiste un modo per misurare l’amore?
Sì ma non per molto dopo
che il tuo cuore ha smesso di palpitare
molte miglia, lassù fra i grandi numeri.
La chiave dell’amore è nella passione, nella conoscenza,
nell’affetto?
Tutti e tre – insieme al chiaro di luna, alle rose, alle cibarie,
a ciò che si dà e si perdona, a ciò che si prende e si dimentica,
ricordi e locazioni,
perle di memoria insieme a uova e prosciutto.
L’amore si può tenere nascosto e sotto chiave?
Sì e accumula polvere e muffa
e raggrinzisce nel buio
a meno che non scopra che il sole può servire,
la neve, la pioggia, le tempeste possono servire –
gli uccelli nei loro nidi di una stanza
scossi da venti crudeli e folli –
tutto può servire:
non mettere sotto chiave l’amore e non tenerlo nascosto.

(...)
Traduzione di Franco Lonati

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William Wall


Riconoscerei i tuoi passi

il profilo delle tue spalle
il modo in cui pieghi la testa
se camminassi all'orizzonte
a tre miglia di distanza
ovunque ci siano orizzonti
steppe o deserti
riconoscerei i tuoi passi

riconoscerei la tua voce
all'interno di un coro di voci
che canta il più grandioso inno corale
un alleluia inimmaginabile
nella cattedrale più immensa
all'orizzonte di una steppa o di un deserto
riconoscerei la tua voce

riconoscerei i tuoi capelli
in una bottega di stranezze di rame
in una cesta di castagne
nel laboratorio di un orafo
i tuoi capelli rosso oro
in una cattedrale di rame e oro
all'orizzonte di una steppa o di un deserto
riconoscerei i tuoi capelli

riconoscerei i tuoi suoni
durante il sonno
il rumore dei tuoi sogni
se tu fossi il coro
di un'immensa cattedrale
o il rame in un cavo
o la strana creazione di un orafo
all'orizzonte di una steppa o di un deserto
riconoscerei i tuoi suoni
Traduzione di Adele D'Arcangelo

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Carl Sandburg


Miele e sale

(...)
Si può comprare l’amore?
Certo ogni giorno con soldi, vestiti, caramelle,
con promesse, fiori, bei discorsi,
con risate, sviolinate, bugie,
ogni giorno uomini e donne comprano l’amore
e lo portano via e le cose accadono
e loro se lo studiano per bene
e più lo osservano
più si rendono conto di non aver affatto comprato l’amore:
l’amore comprato è un’imitazione garantita.
Si può vendere l’amore?
Sì si può vendere e ricavarne il prezzo
e pensarci su
e guardare di nuovo il prezzo
e piangersi sopra in eterno
chiedendosi chi ha venduto cosa e perché.
Le luci del vespro che galleggiano sulle acque notturne,
una laguna di stelle dilavata da ombre di velluto,
ippocampi bianchi che gridano nella tempesta –
questi momenti non hanno prezzo.
(...)
Traduzione di Franco Lonati

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Guillaume Apollinaire

Il canto d’amore

Ecco di cos’è fatto il canto sinfonico dell’amore
C’è in esso il canto dell’amore di una volta
Il brusio dei baci storditi degli amanti illustri
Gli strilli d’amore delle mortali violate dagli dèi
Le virilità dei mitici eroi drizzate come pezzi antiaerei
L’urlo prezioso di Giasone
Il canto mortale del cigno
E l’inno vittorioso che i primi raggi del sole hanno fatto
cantare a Memnone l’immobile
C’è il grido delle sabine al momento del ratto
E anche vi sono i gridi d’amore dei felini nella giungla
Il rumore sordo della linfa che sale nelle piante tropicali
Il tuono delle artiglierie che attuano il terribile amore
dei popoli
Le ondate del mare dove nasce la vita e la bellezza

C’è il canto di tutto l’amore del mondo

Traduzione di Roberto Rossi Precerutti

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Carl Sandburg


Miele e sale


Invitato o non invitato? come arriva l’amore?
Sia invitato sia non invitato, un’ombra sorniona,
un’alba sulla soglia che emette un bagliore
un fascio di luce in una nebbia azzurra,
una lenta intermittenza di due lanterne rosse nella foschia
del fiume
o un fumo denso che avvolge la gobba di una montagna
e il fumo diventa un fumo noto ai tuoi
bizzarri indumenti personali:
le sue volute ti entrano nelle gambe, nelle mani,
nel viso e negli occhi.
Traduzione di Franco Lonati

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Costantino Kavafis

Più che puoi

Se non puoi farla come vuoi, la vita,
sforzati almeno più che puoi
di non prostituirla
nei contatti eccessivi con la gente,
con i gesti eccessivi e le parole.

Non la prostituire col portarla
troppo sovente in giro, con l’esporla
ai commerci e alle pratiche
della dissennatezza quotidiana
finché diventi estranea ed importuna.

Traduzione di Nicola Crocetti

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Ghiannis Ritsos

da La sonata al chiaro di luna

Lasciami venire con te. Che luna stasera!
La luna è buona – non si vedrà
che si sono imbiancati i miei capelli. La luna
me li farà di nuovo biondi. Non te ne accorgerai.
Lasciami venire con te. [...].

Ci sederemo un poco sul muretto, sull’altura,
e rinfrescandoci al vento di primavera
forse immagineremo pure di volare,
perché spesso, e perfino ora, sento il fruscío della mia veste
che pare il battito di due ali forti,
e quando ti chiudi in questo rumore del volo
senti irrigidirsi il collo, i fianchi, la tua carne,
e cosí stretto nei muscoli del vento azzurro,
nei nervi robusti dell’altezza,
non ha importanza che tu parta o torni
né conta che i miei capelli siano bianchi,
(non è questo che mi dà pena – mi dà pena
che non mi s’imbianchi anche il cuore).
Lasciami venire con te.
Lo so, ciascuno cammina da solo verso l’amore,
solo verso la gloria e la morte.
Lo so. L’ho provato. Non giova a niente.
Lasciami venire con te. [...].

Traduzione di Nicola Crocetti

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Rita Dove

Cavallo e albero

Chiunque sia qualcuno vuol essere un albero –
o cavalcarne uno, i capelli spumati dal vento.
È per questo che hanno inventato i cavalli, e le selle
sono state equipaggiate con singolari stelle.

È per questo che intrecciamo le loro ruvide criniere
come fossero bambini, per questo accade che i bambini
all’inizio abbiano paura di una giostra, per il modo in cui
si ostina a dire che la vita è tonda. No,

rispondiamo: c’è la musica, ma poi si ferma;
il bello sempre sale e sempre scende.
Li chiamiamo, e i bambini in coro: Ancora, ancora.
Nell'albero la linfa luminosa ascende.

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Ivan Volosjuk

Leggi Omero sul filobus, ma quando hai gli occhi
stanchi,
nascondi il libro nella borsa, coi tagli ricuciti,
appoggiando i piedi su una cassetta di legno
con certe ghiandoline,

e ti credono malata perché dormi con la stessa
persona
da più di un anno,
e ti credono malata perché trovi gioia nella lettura
e ti credono malata semplicemente perché gioisci;

leggi Omero all'autostazione, dove c'è odore
di barboni e di pizza,
anche se conviene comprare il giornale, risolvere
le parole crociate
e fare pacchettini per i gusci dei semini – è questo
il programma,
nessuno sopporterà un simile strappo, come la
lettura di Omero.

A che ti serve Omero?

Perché vent'anni fa, quando fu il momento di bere
una "Hershey",
per te fu il momento di iscriverti a Lettere?

Allora tutto si vendeva.
E capirai troppo tardi che il tuo tempo non giungerà
mai...
Traduzione di Paolo Galvagni

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Alda Merini

I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere Iddio.
Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.

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Franco Loi
Cume se fa a parlà de la belessa?
la furma che sa dís al fiâ del cör?
La vardi e, nel murí, la mia parola
la dís dumâ del poch restâ nel mör.

Come si fa a parlare della bellezza?
la forma che sa dire al fiato del cuore?
La guardo e, nel morire, la mia parola
dice soltanto del poco rimasto nel morire.

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Quando le chiesero di rivelare i suoi segreti di bellezza, Audrey Hepburn scrisse questo bellissimo testo che venne poi letto anche al suo funerale.

"Per avere labbra attraenti, pronuncia parole gentili.
Per avere uno sguardo amorevole, cerca il lato buono delle persone.
Per avere un aspetto magro, condividi il tuo cibo con l'affamato.
Per avere capelli bellissimi, lascia che un bimbo li attraversi con le proprie dita una volta al giorno.
Per avere un bel portamento, cammina sapendo di non essere mai sola, perchè coloro che ti amano e ti hanno amato, ti accompagnano.
Le persone, ancora più che gli oggetti, hanno bisogno di essere riparate, viziate, risvegliate, volute e salvate: non rinunciate mai a nessuno.
Ricorda, se mai avrai bisogno di una mano, le troverai alla fine di entrambe le tue braccia. Quando diventerai anziana, scoprirai di avere due mani, una per aiutare te stessa, la seconda per aiutare gli altri.
La bellezza di una donna non è nei vestiti che indossa, nel suo viso o nel suo modo di sistemare i capelli. La bellezza di una donna si vede nei suoi occhi, perchè quella è la porta aperta sul suo cuore, la fonte del suo amore.
La bellezza di una donna non risiede nel suo trucco, ma la vera bellezza in una donna è riflessa nella propria anima. È la tenerezza che da' l'amore, la passione che essa esprime.
La bellezza di una donna cresce con gli anni"

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Jürgen Theobaldy

Neve in ufficio

Una certa nostalgia di palme. Qui
è freddo, ma non soltanto. I tuoi baci
al mattino sono pochi, poi sto seduto
otto ore qui in ufficio. Anche tu sei
una reclusa e non possiamo
telefonarci. Alzare il ricevitore
e origliare? Telefono, perché il tuo
polso batte solo per altri? Qualcuno chiede:
"Come stai?", e senza attendere risposta
è già fuori dalla stanza.

Che cosa può muovere l'amore? Io calcolo
i prezzi e vengo calcolato. Tutti i pezzi di ricambio,
le parti di caldaia, i bruciatori a olio, tutti passano
per la mia testa come numeri, nient'altro.
E anch'io passo attraverso qualcuno
come un numero. Ma alla sera vengo da te
con tutto quello che sono. Scienziati
scrivono che anche l'amore è
una relazione produttiva. E dove sono
le palme? Le palme si mostrano sulla spiaggia
di una cartolina illustrata; e noi, supini,
le contempliamo. Al mattino ritorniamo
in ufficio, ognuno al suo posto.
Con un numero, come il telefono.

Traduzione di Gio Batta Bucciol

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IL TRUCCO DELL’APERITIVO
Per fare felice una donna
non ci vuole molto
ma ci vuole molto
cioè, si spiegava meglio mio padre,
non ci vuole molto impegno
ma ci vuole molta passione
non ci vogliono molti soldi
ma ci vuole molta creatività.
Per vedere se la donna
che hai accanto sta bene
tu portala a passeggiare,
portala nei vicoli della città
portala a guardare le cose piccole
come le vecchiette che annaffiano dai balconi
che poi le passeggiate
aiutano pure ad innamorarsi di più,
mi diceva,
perché quando si cammina
i pensieri stupidi scorrono via
e rimane solo il presente
la bellezza del giorno:
voi due.
Poi portala a fare un aperitivo
mi diceva,
quella sarà la prova del nove
fate un bell’aperitivo insieme
riposatevi dalla passeggiata
bevete e mangiate
ridete, diamine falla ridere,
e se dopo l’aperitivo ti dice
“io ho ancora fame, andiamo a cena?”
Allora significa che quella persona
sta davvero bene con te
è felice
mi diceva,
perché una donna
quando sta bene
ha sempre fame.
Gio Evan

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È dura restare allegri,
quando tutti intorno a te sono tristi.
È dura guardarsi allo specchio
e vedere quello che veramente sei.
È dura non montarsi la testa,
quando tutti ti esaltano.
È dura rimanere asciutti,
quando sopra di te piove.
È dura stare calmi,
quando tutti intorno a te sono nervosi.
È dura trovarsi a questo mondo senza averlo scelto
e doversene andare quando cominci a prenderci gusto.
Ed ora è dura pure la chiusura,
pensando al sogno che è la vita
e a cui non c’è una cura.
Almeno finché dura.
(Enrico Sunda, Gomitoli di Pensieri)

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John Ashbery

Certi alberi

Questi sono stupefacenti: accosto
ciascuno al vicino, come se il discorso
fosse una messa in scena silente.
Dandoci stamane casualmente

appuntamento così tanto via
dal mondo quanto in armonia
con esso, io e te
siamo d’improvviso cio che

gli alberi cercano di dirci
che siamo: che il loro mero esserci
ha significato; che potremo toccare
presto, e amare e spiegare.

E lieti di non avere inventato
noi tale grazia, ne siamo circondati:
un silenzio già colmo di rumori,
una tela su cui affiori

un coro di sorrisi, d’inverno, un mattino.
Posti in una luce sconcertante, e in cammino,
i nostri giorni indossano una tale reticenza
che questi accenti paiono la loro
stessa resistenza.
Traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan

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Anne Carson
da La bellezza del marito

(...)

In un vestito di fiamme che rotolano nel cielo è così
che mi sentii la notte che mi disse
che aveva un'amante e con timido orgoglio
tirò fuori una foto.
Non posso vederne la faccia ho detto con rabbia,
buttandola a terra. Mi ha guardata.
Eravamo alla #64257;nestra (di un ristorante) in alto sulla
strada,
sposati da poco più di un anno.

Un lavoro veloce dissi io. Sarai maligna disse lui.
Ruppi il vetro e saltai.
Adesso certo sai
che non è questa la verità, ciò che si ruppe non era vetro,
ciò che cadde a terra non era corpo.
Tuttavia quando ricordo quella conversazione questo è
ciò che vedo – me stessa come il pilota di un caccia
che si salva sul canale. Me stessa come preda.
Oh no non siamo nemici disse lui. Ti amo! Vi amo
entrambe.
Non sembra il Signor Rochester che digrigna i denti e dice
in meno di due minuti con il suo strisciante verde sibilo
la gelosia può divorarci #64257;no al cuore, una formula che
gli si presenta
mentre sedeva nel muschio e nell’ambra
del suo balcone parigino
e guardava la sua bella da operetta al braccio di un
cavaliere sconosciuto?
Rimanere umani è rompere un limite.
Che ti piaccia se puoi. Che ti piaccia se vuoi.


Traduzione di Patrizio Ceccagnoli

“La vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti” John Lennon
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dany61
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LETTERA DA UN DISPERSO DELLA CAMPAGNA DI RUSSIA
Ciao mi chiamo Luigi, ma mi potrei chiamare Paolo, Giovanni, Andrea, Battista… sono uno dei tanti dispersi della campagna di Russia. Sono partito dall’Italia nel 1942 e non ci sono più tornato. Non importa se sono stato un volontario o un richiamato; se un fante o un alpino o un carrista o una camicia nera; se soldato o ufficiale; se ero in prima linea o nelle retrovie; se sono morto per una fucilata o per il freddo. Non importa questo.
Sono partito e non sono più tornato. I miei resti sono ancora qui sotto un metro di terra e nessuno mi ha più portato a casa. Ho lasciato la mamma, il papà ed una sorella più piccola. Non mi hanno più visto da quel giorno del 1942. Qualche lettera si ma niente altro. La mia famiglia ad un certo punto non ha più avuto mie notizie; hanno scritto, cercato, incontrato persone, ma nessuno li ha potuti aiutare. La mamma è morta, dopo qualche anno straziata dal dolore per aver perso suo figlio in Russia; il papà qualche anno dopo la mia mamma; mia sorella, mai conosciuta in vita, solo da qualche anno con una vita segnata dal lutto e dal vedere la sua famiglia distrutta.
Sono morto qui e non sono più tornato. Non so esattamente dove sono ora. I miei resti sparsi da qualche parte in Russia: ogni tanto vedo qualcuno che ci passa vicino, vorrei gridare per dirgli che sono qui sotto. Vorrei dirgli di scavare, di prendere i miei resti e di portarli a casa. Almeno quelli. Non c’è più nessuno che mi aspetta, ma sono partito dall’Italia e vorrei tornare in Italia. Ho saputo che qualche italiano, degno di questo nome, viene qui per cercare i nostri caduti, ma qui dove sono io non è mai venuto nessuno.
Non sono più tornato e non so dove sono. Qui d’inverno, come allora, fa tremendamente freddo; d’estate crescono i girasoli. Sono solo, anche se so per certo che vicino a me ci sono altri che non sono più tornati. Non li vedo, ma so che ci sono. Qui in Russia i campi sono pieni di altri ragazzi come me che non sono più tornati. Perché nessuno viene a prenderci?
So che diverse persone, poche a dire il vero, parlano ancora di noi e ci ricordano; ecco a loro chiedo di non dimenticarci, di continuare a farlo. Basta che ogni persona racconti la nostra storia ad un’altra più giovane per non farci morire ancora una volta, per tenere vivo il ricordo di tutti quei ragazzi che hanno dato tutto all’Italia e non sono più tornati. Raccontate a chi non conosce la nostra storia, cosa è successo, cosa abbiamo patito, perché non siamo più tornati a casa.
Io non sono più tornato…

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“Il genio”

Per te
sarò un ebreo del ghetto
e ballerò
e indosserò calze bianche
sulle mie gambe storte
e fiumi di veleno
attraverseranno la città
Per te
sarò un giudeo apostata
e dirò al prete spagnolo
del voto di sangue
nel Talmud
e dove sono nascoste
le ossa dei bambini
Per te
sarò un ebreo bancario
e porterò alla rovina
un vecchio orgoglioso re cacciatore
e terminerò la sua stirpe
Per te
sarò un ebreo di Broadway
e piangerò nei teatri
per mia madre
e venderò oggetti da mercato
sottobanco
Per te
sarò un medico ebreo
e cercherò prepuzi
nei bidoni della spazzatura
per ricucirli di nuovo
Per te
sarò un ebreo Dachau
e giacerò sul cemento
con gambe storte
gonfio di dolore
e nessuno capirà.
Leonard Cohen

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Questo è per te”

Questo è per te
è il mio intero cuore
è il libro che ti avrei letto
quando fossimo stati vecchi
Adesso sono un’ombra
Sono senza pace come un impero
Tu sei la donna
che mi ha reso libero
Ti ho vista guardare la luna
Non hai esitato
ad amarmi con essa
Ti ho vista onorare gli anemoni
colti tra le rocce
mi hai amato con essi
Sulla sabbia liscia
tra i ciottoli e la spiaggia
mi hai accolto nel cerchio
meglio ancora di come si accoglie un ospite
Tutto ciò è accaduto
nella verità del tempo
nella verità della carne
Ti ho vista con un bambino
mi hai portato al suo profumo
e alle sue visioni
senza chiedermi sangue
Su tantissimi tavoli di legno
adornati con cibo e candele
mille sacramenti
che hai portato nel tuo cesto
Ho visitato la mia creta
Ho visitato la mia nascita
fino a quando sono tornato piccolo
ed impaurito abbastanza
da nascere di nuovo
Ti ho voluta per la tua bellezza
mi hai dato più di te stessa
Hai condiviso la tua bellezza
questo è tutto ciò che ho appreso stanotte
mentre ricordo gli specchi
dai quali sei scomparsa
dopo che hai donato loro
ciò che essi ti chiedevano
per la mia iniziazione
Adesso sono un’ombra
desidero ardentemente
giungere alla fine del mio peregrinare
e vado avanti
con l’energia della tua preghiera
e procedo
in direzione della tua preghiera
poiché tu sei inginocchiata
come un mazzolino di fiori
in una grotta di ossa
dietro la mia fronte
e mi muovo in direzione di un amore
che hai sognato per me.ù
Leonard Cohen


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Robert Frost

Qualcosa, per una volta
Gli altri ridono che sempre sul pozzo
Mi inginocchiassi contro luce, mai
Vedendo più a fondo di dove l’acqua
Mi rimandava in un limpido quadro me
Me stesso nel cielo estivo, divino,
Sporto in un serto di felci e di cirri.
Una volta, puntando il mento sul bordo,
Distinsi – mi parve – al di là dell’immagine,
Sotto l’immagine, un biancore, incerto,
Una più fonda profondità – e lo persi.
L’acqua rinnegò la sua trasparenza.
Gocciò la felce ed ecco un’onda
Scosse la cosa posata sul fondo,
La confuse, la cancellò. Quel bianco che cos’era?
La verità? Un quarzo? Qualcosa, per una volta.
Traduzione di Nicola Gardini

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Guy Goffette

I

E se fosse proprio il diluvio quel che,
onda dopo onda, giorno dopo giorno,
spinge fino in fondo le vecchie carte
i vecchi amori, i volti, le luci
le case sui loro tetti, balene insabbiate;
se fosse proprio lui, questo lungo brivido
come un corridoio che ci attraversa
quando lo squillo del pescivendolo
risuona nell'aria umida,
resteremmo noi come una barca vuota
nell'ombra e senza muoverci
in attesa che il battelliere assopito
rinsaldi le due rive?

Traduzione di Gio Batta Bucciol

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Henri Michaux

Ma Tu quando verrai?
Un giorno stendendo la mano
Sul quartiere dove abito,
Al tempo maturo che non spero più davvero;
Nell’attimo d’un tuono
Strappandomi con terrore e imperio
Dal mio corpo e dal corpo pien di croste
Dei miei pensieri-immagini, ridicolo universo;
Affondando in me la tua sonda spaventosa,
Il trapano temibile della Tua presenza,
Elevando d’un colpo sul mio fango
La Tua dritta cattedrale insormontabile;
Proiettandomi non uomo,
Obice, obice nella verticale,
Verrai,
Verrai, se esisti,
Adescato dal mio imbroglio,
La mia odiosa autonomia;
Uscendo dall’Etere, da dove non importa, da sotto il mio
io sconvolto, forse;
Gettando il mio fiammifero nella Tua dismisura,
E addio, Michaux.
Se no che cosa?
Nulla? Mai?
Dimmi, tu che sei la Grande Posta, dove vuoi dunque
finire?
Traduzione di Mario Luzi

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Valery Larbaud

La maschera

Sempre scrivo con una maschera sul viso;
Sì, una maschera alla moda antica di Venezia,
Lunga, con la fronte compressa,
Affine a un grande muso di raso bianco.
Seduto al mio tavolo, sollevando la testa
Mi contemplo allo specchio, di faccia,
Di tre quarti e osservo
Il profilo infantile e animalesco che amo.
Oh, che un lettore, un mio fratello, a cui parlo
Attraverso questa maschera pallida e brillante,
Venga a deporre un bacio grave e lento
Sulla fronte compressa e sulla guancia tanto pallida,
Ad appoggiare più forte sul mio viso
Quest’altro viso scavato e profumato.

Traduzione di Gio Batta Bucciol


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Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d'estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro.
Nazim Hikmet

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Pierluigi Cappello
I vostri nomi

Ieri sono passato a trovarti, papà,
la luce in questi giorni non è tagliata dall’ombra
negli alberi senza vento c’è l’odore secco dell’aria
per come posso, ti ho portato il racconto dei temporali,
l’odore di inverno sulle tempie
a Chiusaforte è nevicato, nevica sempre
e le fontane sono ghiacciate
penso, per qualche momento, che tu sia ancora lassù
ad accatastare legna con cura
e non in luoghi come questi
la casa di riposo con la pista per le bocce
dove state raccolti come le foglie nel parco
uniti nell’attesa, lontani dalle città assediate.

Dicevate domani, dicevate questo è il figlio
e con il silenzio del fischio nella bufera
i vostri nomi sono andati via
voi che siete stati popolo e ombra
remissione e forza
il tuo nome, papà, e quello di Bruno, che non era un’antilope
e tirava sassate al pettirosso sul ramo più alto
o quello di Giordano, o quello di Cesare, o quello
di Alfredo, l’artigliere
o quello di quelli che, come te, sono stati bambini
che hanno detto domani.

E adesso non è troppo dire
quanto poche sono le foglie cadute
sui giorni di novembre
per dire cos’è l’inverno negli occhi mentre viene
tutto il poco possibile è qui,
nei vostri corpi piegati come l’ulivo
sulle vostre facce di monete graffiate
in questo spazio, in questo tempo confusi
come il cielo e la terra quando nevica,
e se c’è un’uscita, papà, anche se non posso dire domani,
la sua luce sulla soglia
è questo stare dei tuoi occhi dentro i miei
questo pensarvi vivi, liberi e scalzi
le tasche piene di sassi, la memoria di voi
che trema in noi
come una stella incoronata di buio.

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Walt Whitman

“... O stella possente che cali a occidente!
O ombre della notte – o malinconica notte di lacrime!
O grande stella scomparsa – o nera tenebra
che la nascondi!
O mani crudeli che mi trattenete impotente –
o anima mia indifesa!
O nuvola severa che mi circondi e non vuoi
liberare la mia anima ...”

Traduzione di Antonio Troiano

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Norbert C. Kaser

serenata

così le notti stanno intrepide sulla neve
il giorno si è smarrito dietro i salici bianchi
ragazza mia
ragazza mia
Tu
sei lontana

non so se ora pensi o
sogni o dormi
intrepide stanno le nostre notti
separate
come le orme dei corvi
sui giardini
qui e lì
Traduzione di Gio Batta Bucciol

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Vivo perché sono morto dentro tante volte,
amo perché ho provato l’odio e mi ha fatto paura,
do perché so che cosa vuol dire non ricevere niente,
ascolto perché mi piace vedere le parole risplendere quando vengono ascoltate,
apro il mio cuore perché è l’unico modo di farlo respirare.
(Fabrizio Caramagna)

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Inserito il - 17/12/2019 : 06:13:06  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Sei così bella quando impieghi tutti quei minuti a sistemarti i capelli e poi esci e il vento te li scompiglia.
Sei così bella perché non ti arrabbi, anzi, fai quel broncio che non risulta mai cattivo. Solo un po’ scocciato. E a dirla tutta a me scocciata piaci, perché mi diverto a riaccendere nei tuoi occhi una luce divertita.
Sei così bella quando pensi di non esserlo. E non so mai che fare per dimostrartelo.
Sei così bella quando ti concentri e anche quando sei completamente distratta. Quando hai fame e sei intrattabile e anche quando sei finalmente sazia e serena.
Sei così bella, di una bellezza indescrivibile eppure ci provo ogni volta.
Sei così bella, non dimenticarlo perché io lo ricorderò per sempre.
#mariagraziapignata

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Inserito il - 18/12/2019 : 07:28:04  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Avrei voluto un attimo...per guardarti negli occhi...per dirti quanto sei importante per me...Un attimo e i miei occhi avrebbero cominciato a piangere...ma di gioia...Avrei voluto un attimo....per stringerti forte a me...per farti sentire i battiti del
mio cuore...Un attimo e il mio cuore sarebbe balzato fuori dal mio petto...Avrei voluto un attimo...per accarezzare la tua pelle...per sentire il tuo odore...Un attimo e il mio corpo avrebbe tremato per l'emozione...Avrei voluto un attimo...giusto il tempo di imprimerti nella mia anima...Un attimo...e la mia anima non ti avrebbe più lasciato andar via...
Non riesco a non pensarti...A non pensarti con Amore...

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Inserito il - 19/12/2019 : 06:48:15  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Questa per qualcuno è solo una scusa.. non ci sono momenti sbagliati, perché quando due anime si incontrano, era destino che fosse proprio in quella determinata circostanza.
Possono esserci invece situazioni complicate, ma se le persone sono "giuste" troveranno il modo di superarle, perché quando c'è l'AMORE, non c'è problema che non possa essere affrontato, INSIEME..

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Inserito il - 20/12/2019 : 06:25:25  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
La linea che divide
ciò per cui vale la pena lottare fino allo stremo e ciò che va lasciato andare è un confine sottile e difficile da individuare. Lo è per la nostra mente perchè si ostina a voler mettere in ordine ogni cosa trattenendola al suo posto, al suo ruolo, ma le cose, o meglio le persone, non stanno ferme, cambiano.
Funzioniamo bene solo quando con esse riusciamo a crescere nella stessa direzione e con lo stesso grado evolutivo, ma questa è una cosa rara.
E' per questo che non sappiamo cosa trattenere e cosa invece lasciare andare, non lo sappiamo perchè permettiamo che sia la mente a dirci quello che è giusto fare. Ma tu non sei la tua mente, sei un essenza che deve dialogare con il tuo istinto e con il tuo cuore.
Quando percepisci che qualcosa ti reca dolore sappi che va lasciata andare, la sua evoluzione può portare solo altro dolore perchè oramai la sua energia emette solo quelle vibrazioni. E' sempre duro guardare cadere le realtà in cui avevamo riposto sogni e speranze, ma se non vuoi che diventino ossessioni devi trovare in te stesso la forza di dire basta, che non è dire basta ai tuoi sogni, ma è comprendere che devi liberare te stesso dal vecchio. I sogni torneranno con altri colori e con la gioia e l'aspettativa che gli appartiene e ti renderanno di nuovo felice, ma lo faranno solo quando sarai libero dal vecchio bagaglio.
Tutti meritano la felicità e non c'è ragione per cui non dovresti meritarla anche tu, anzi ti appartiene dalla nascita ed è tua. Non dare a nessuno il potere di spegnerla, sei tu il padrone di te stesso, per cui trova il coraggio di dire basta quando il tuo mondo vibra di negatività, liberati di chi ti fa solo del male. Non importa se ci vorrà del tempo, non puoi saperlo, ti basta solo ricordare chi sei e non accettare di vivere al di sotto di quanto meriti, perché tu sei importante malgrado chi te lo ha fatto dimenticare.
Tu non dimenticarlo mai!
Ricordati chi sei e riprenditi i tuoi sogni.
Giulia Torelli

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Inserito il - 21/12/2019 : 06:40:37  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
JONATHAN SWIFT, I VIAGGI DI GULLIVER: LA DISTRUZIONE DEL MITO DELL’UOMO
Curioso come uno dei libri più sovversivi e anti-umani dell’intera storia della letteratura sia stato sistematicamente ridotto ad una confortante e inoffensiva favola per bambini, e come tale si sia imposto nell’immaginario collettivo. Parlo dei Viaggi di Gulliver (1726) di Jonathan Swift, il geniale decano polemista. Il romanzo, a dispetto della vulgata riduzione infantile – moralmente ingiustificabile e molto simile al goffo tentativo di normalizzazione ottimistica e filantropica di un’opera nata da un ardente e feroce impegno critico e misantropico (in pieno stile Walt Disney, per intenderci) -, rappresenta una spietata indagine del genere umano, in cui Swift, come Leopardi nelle Operette morali, e in particolar modo in una di queste: La scommessa di Prometeo [1], giunge alla distruzione del secolare mito dell’uomo, di cui mostra la reale natura, una natura bestiale e violenta, che svela l’infondatezza di ogni fede nei confronti del progresso e della ragione.

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Inserito il - 22/12/2019 : 06:07:32  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
"Il sano amore per se stessi è un grande valore religioso. La persona che non ama se stessa non sarà in grado di amare nessun altro, mai.
La prima increspatura d'amore deve formarsi nel tuo cuore.
Se non si forma per te stesso, non può formarsi per nessun altro, perché tutti gli altri sono lontani da te.
E' come lanciare un sasso in un lago silenzioso.
Le prime increspature si formeranno intorno al sasso e poi si diffonderanno verso le spiagge lontane.
La prima increspatura d'amore deve essere attorno a te stesso.
Si deve amare il proprio corpo, si deve amare la propria anima, si deve amare la propria totalità.
E ciò è naturale, altrimenti non potresti proprio sopravvivere.
Ed è bello, perché ti abbellisce.
La persona che si ama diventa graziosa, elegante.
La persona che si ama è destinata a diventare più silenziosa, più meditativa, più devota della persona che non si ama.
Se non ami la tua casa non la pulirai; se non ami la tua casa non la pitturerai; se non ami non la circonderai con un bel giardino con uno stagno con fiori di loto.
Se ami te stesso creerai un giardino attorno a te.
Cercherai di aumentare il tuo potenziale, cercherai di tirare fuori tutto quello che hai dentro di te da esprimere.
Se ami, continuerai a farti la doccia, continuerai a nutrirti.
E se ami te stesso sarai sorpreso: gli altri ti ameranno.
Nessuno ama una persona che non si ama.
Se nemmeno tu riesci a amare te stesso, chi altro se ne prenderà la briga?"
Osho

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Inserito il - 23/12/2019 : 06:18:58  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Potere e volere
Esco dal centro
E ti vengo a cercare
Oggi
Un po' come ieri
Pensieri di corda
Si attorcigliano al cuore.
Ho bisogno di capire
Senza temere né tremare
Nanananana
Sì son sicura
E mi vesto da qualcosa che vola
Sono il vento e l'istinto
Oltre l'ombra che ho dentro
Mi fotografi adesso
Ho paura e ti amo
E per questo ci sono
Sono mani bagnate
Sono lacrime uscite
Ho paura e non temo
Questo cambio di tempo
Per natura mi spingo
Per vedere se vinco
C'è qualcosa che vola
Lato destro del cuore
Oggi
Dietro la porta
Negli angoli sporchi
Mi conosco davvero
E tu
Voce infinita
Dimostri chi sei
Quando vieni a capirmi
Ho bisogno di cambiare
E te lo voglio raccontare
Nanananana
Sì son sicura
Mi addormento e vengo a prenderti ora
Camminiamo sull'acqua
Poi mangiamo per strada
E giochiamo a star bene
Ho paura e ti amo
E per questo ti dono
Accarezzami adesso
Per sentire chi sono
Ho paura e ritocco
Dò più luce alla foto
Buona luce e buon viaggio
Non dimentico niente
E per questo mi salvo
Perché ho direzione
Voglio dirti che ho vinto
Voglio dirti ti amo
C'è qualcosa che vola
Lato destro del cuore#65279;
Ely Bon

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Quando ti viene nostalgia non è mancanza. E' presenza di persone, luoghi, emozioni che tornano a trovarti.
Erri De Luca

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Sognai, e vidi che la vita è gioia; mi destai, e vidi che la vita è servizio. Servii, e vidi che nel servire c’è gioia.
Abbattimi come fa la tempesta,
prendi tutto quello che possiedo;
invadi il mio sonno e ruba i miei sogni.
Nuvole e nuvole s’addensano
poi si fa buio…
Amore mio, perche’ mi lasci solo
ad aspettare fuori della porta?
Tagore R.

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Ti porto con me
Un giorno
dimenticherai
i miei sorrisi,
le carezze
che parlano
dialetti intimi.
Un giorno
capirai che non
ero importante,
un ragazzo con
tanti sogni come altri,
che vive in un'altro
tempo,
che non ha più
importanza
il suo sorriso
contento.
Tu non lo sai
che ti ho già
rapita,
ti ho portata via,
non conosci
questo posto
perché non senti
l'amore che provo.
Resterò forse
un dolce ricordo,
anche se io
ti penserò
ogni giorno.
Parlerò di te
ad ogni mio
sogno,
un sorriso e
una lacrima
guarderanno
le nostre foto,
con una bottiglia
che mi consolerà
quando mi
sento solo.
A. Isgrò

“La vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti” John Lennon
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dany61
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Inserito il - 28/12/2019 : 06:42:44  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Ci sono persone che hanno un compagno, ma che si sentono talmente sole e vuote che è come se non lo avessero. Altre, invece, pur di non aspettare, decidono di camminare accanto alla persona sbagliata e, nel loro egoismo, non permettono a quella persona di allontanarsi, anche se sanno che non la rendono felice.
Ci sono persone che portano avanti matrimoni o fidanzamenti ormai distrutti, perché credono che stare da soli sia difficile ed inaccettabile. Ci sono persone che decidono di occupare il secondo posto cercando di arrivare al primo, ma quel viaggio è difficile, scomodo e ci riempie di dolore e di abbandono.
Eppure, ci sono altre persone che sono da sole e vivono e brillano e si lasciano travolgere dalla vita nel migliore dei modi. Persone che non si spengono, anzi, al contrario, che ogni giorno si accendono di più. Persone che imparano a godersi la solitudine perché le aiuta ad avvicinarsi a se stesse, a crescere e a diventare più forti dentro.
Queste persone sono quelle che un giorno, senza sapere esattamente quando né perché, troveranno al loro fianco una persona che le ama con amore vero e, allora, si innamoreranno nel modo più bello.
-Madre Teresa di Calcutta

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Inserito il - 28/12/2019 : 13:13:14  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Sai che ti dico?
Sarò capace di amare, al di sopra di tutte le delusioni.
Di donare, anche quando sono stata privata di tutto.
Di lavorare felicemente, anche quando mi trovo in mezzo a mille ostacoli.
Di asciugare le lacrime, anche quando sto ancora piangendo.
Di credere, anche quando sono stata discreditata.
Aleph – Paulo Coelho

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Inserito il - 31/12/2019 : 06:31:51  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Ho perdonato errori quasi
imperdonabili, ho provato
a sostituire persone insostituibili
e dimenticato persone indimenticabili.
Ho agito per impulso,
sono stato deluso dalle persone
che non pensavo lo potessero fare,
ma anch'io ho deluso.
Ho tenuto qualcuno tra le mie
braccia per proteggerlo;
mi sono fatto amici per l'eternità.
Ho riso quando non era
necessario, ho amato
e sono stato riamato,
ma sono stato anche respinto.
Sono stato amato
e non ho saputo ricambiare.
Ho gridato e saltato per tante
gioie, tante.
Ho vissuto d'amore e fatto
promesse di eternità,
ma mi sono bruciato il cuore
tante volte!
Ho pianto ascoltando la musica
o guardando le foto.
Ho telefonato solo
per ascoltare una voce.
Io sono di nuovo innamorato
di un sorriso.
Ho di nuovo creduto di morire
di nostalgia e... ho avuto paura
di perdere qualcuno molto speciale
(che ho finito per perdere)...
ma sono sopravvissuto!
E vivo ancora!
E la vita, non mi stanca...
e anche tu non dovrai stancartene.
Vivi! È veramente buono battersi
con persuasione, abbracciare
la vita e vivere con passione,
perdere con classe e vincere
osando, perché il mondo
appartiene a chi osa!
La Vita è troppo bella
per essere insignificante."
Charlie Chaplin

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Inserito il - 01/01/2020 : 07:23:04  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Oggi è la Giornata Mondiale per la Pace.
La ricorrenza è stata istituita da papa Paolo VI con un messaggio datato 8 dicembre 1967 ed è stata celebrata per la prima volta il 1º gennaio 1968. Il discorso di Paolo VI iniziò con un saluto e il richiamo storico ai valori della Pax romana, "fondata sull'universale estensione dell'eguaglianza dei diritti dei suoi cittadini, fieri e liberi", rivolse un appello alla tregua e al dialogo per l'incipiente Guerra del Vietnam, concludendosi con una Preghiera per la Pace nel Mondo.
Il documento afferma:
"Giunga ora il Nostro saluto fraterno e paterno ed il Nostro augurio di pace, con quanto la pace deve recare con sé: l'ordine, la serenità, la letizia, la fraternità, la libertà, la speranza, l’energia e la sicurezza del buon lavoro, il proposito di ricominciare e di progredire, il benessere sano e comune, e quella misteriosa capacità di godere la vita scoprendone i rapporti con il suo intimo principio e con il suo fine supremo: il Dio della pace.Sarebbe Nostro desiderio che poi, ogni anno, questa celebrazione si ripetesse come augurio e come promessa - all'inizio del calendario che misura e descrive il cammino della vita umana nel tempo - che sia la pace con il suo giusto e benefico equilibrio a dominare lo svolgimento della storia avvenire".
(Paolo VI)

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Inserito il - 02/01/2020 : 06:26:51  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Mi dirai
Mi dirai
Quando
La tua vita
Assumerà
Le fattezze
Di un albero
Curvato
Verso
La triste terra
Che le foglie
Caddero
Nel tuo tempo
Migliore
Mi dirai
Che la brezza
Non ti invase
Il cuore
Nella tua estate
Mentre
Ciondolavi
Tra le barche
In attesa
Della risacca
Mi dirai
Che la dolce
Marmotta
Scappò
Mentre
Il rosso
Vermentino
Si confondeva
Nel plumbeo
Mistero
Dell'ora
Sussurrata
Al monte
Dal dio Pan
Mi dirai
Che gli occhi
Suoi
Urlavano
Contro
Le mie smentite
Primavere
Contro
Le mie stille
Di sangue
Rappreso
Dal petto
Fino
Alle mani
Mi dirai
Che con un'ala
Non si vola
E per questo
Non imparai
A volare
Lasciando
Orme
Incerte
Ti dirò
Che mentre
Non mi amavi
Il tempo mio
Si fermo'
E si adagio'
Ai piedi
Di quello stesso
Albero
Che tanto
Ti somiglia...

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Inserito il - 03/01/2020 : 06:06:17  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
NAVIGANDO ALLA DERIVA
Certe volte l'esistenza
è un pesante fardello
ch'opprime,piega.
Vivere supera le nostre forze
così navighiamo alla deriva.
L'attesa del futuro
sembra paralizzata.
Pervasi
da tale incertezza
da tale disperazione
cerchiamo di mutar
le sofferenze
in sete d'infinito,
esser più' leggeri dell'aria.
Guadagnarsi un angolo
di buio cielo
in attesa di qualche generosa stella
portatrice di luce.
( Rita Salvini )

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Inserito il - 04/01/2020 : 06:32:55  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Silenzio.
Silenzio. Silenzio. Silenzio.
Una parola che rimbomba negli spazi ove eri con me.
Una parola che sfiora le mie dita, risuona nelle mie orecchie, mi svuota gli occhi e mi punge la mente.
Ancora mi sembra di sfiorare la tua pelle, e soffici carezze coprivano il tuo viso.
Ancora mi sembra di sentirmi chiamare amore, mentre nel dolce sonno ti sognavo ancora più bella.
Ti vedo ancora camminare nei miei spazi, ove la tua luce, anche tra le rocce, faceva spuntare il più bel fiore da dedicare a te.
E poi la mente. Mente. Mente.
Quale immenso, oscuro e profondo abisso è paragonabile alla mente?
Miliardi di chiodi pungono la mia mente, e fuoco come la lava brucia i miei passi a ricordare quando eri con me.
Amor che spera il tuo ritorno amor invano, graffia la mia pelle e sanguinano le ferite al tramonto.
Così come muore il sole, così tramontano i miei occhi.

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Inserito il - 05/01/2020 : 06:45:04  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
(Un semplice papà... )
Lasciati abbracciare dal far delle mie braccia, come un po' di anni fa...
Quando ti addormentavi fra le mie carezze... Di semplice papà.
Lascia che io sia per una volta ancora e per mille anni a venire...
Il posto in cui torneresti a dormire.
Lasciami la speranza che alimenta la fiamma del mio cuore...
Fa' che io resti per sempre il tuo super eroe e che il mio mantello, sia per la pioggia, il tuo ombrello.
Fa' che io resti la fiaba dei tuoi sogni,
quella, di prima di dormire...
Quando ridevamo a crepapelle con le storie a lieto fine.
Fa' che io sia per una volta ancora, il tuo lume della sera
e quando andrà via la mia luce, sarò nel tuo cuore, un'umile candela.
(Aurelio Altobella)

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Inserito il - 06/01/2020 : 06:38:16  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
La perdi quando non scegli. Quando la fai sentire come un’opzione. La seconda, forse la terza. Addirittura la quarta. La perdi quando la metti in un angolo. Quando non ti impegni, quando tentenni come se avessi tra le mani una sorta di telecomando che salta da un programma all’altro perché non sai quale guardare. Ma le persone non sono programmi televisivi e tu non hai nessun telecomando che le possa mettere in pausa mentre decidi. La perdi giorno dopo giorno quando la lasci sola. Quando sente che non può contare su di te perché non ci sei mai. Quando non sente appartenenza, non sente reciprocità, non sente niente di tutto quello che dà un senso ad una relazione. La perdi quando non dai tutto te stesso. La perdi quando ti cerca e non ti lasci trovare. Quando inventi scuse patetiche o ridicole per giustificare i tuoi ritardi. La perdi anche quando torni dopo averla lasciata per la centesima volta. La perdi quando le fai sentire solo un oggetto di piacere per quando ne hai voglia. E la perdi quando nonostante tutto, cerca di amare anche la tua ruvidezza, quando ti rifugi nel tuo guscio. Quando vorrebbe che tu le asciugassi le lacrime di notte, che la stringessi a te, ma ti giri semplicemente dall’altra parte. La perdi quando ti rifiuti di essere presente, quando non la lasci entrare negli angoli della tua mente. La perdi quando la prendi a parole e la fai sentire inutile. Perché tutto ciò che vuole è la fusione delle vostre anime, sentire il potere dell’amore quando le vostre mani sono intrecciate. La perdi quando non provi a capirla. Quando non ti preoccupi di guardare il mondo dal suo punto di vista, quando la rimproveri per ogni parola che dice, anche quando cerca a tutti i costi di trovare un compromesso. La allontani sempre di più quando ridi delle sue paure, quando le fai sentire che è pazza per ciò che prova e quando ti svincoli completamente dalla discussione. L’hai delusa trattandola come se fosse inferiore, mentre pensava che la ritenessi tua pari. Ma ecco come puoi trattenerla... La trattieni nella tua vita quando l’ascolti. Quando comprendi la sua vulnerabilità e l’abbracci invece di girarti dall’altra parte del letto. La trattieni quando le parli, quando riconosci che una relazione è una strada a doppio senso. Quando le dai, senza che lei ti chieda. La trattieni quando la sostieni, quando si sente sicura al tuo fianco, quando le dici che affronterete insieme tutti i mali del mondo. La trattieni quando le dai tutto. Quando non la lasci sola sulla scogliera della sua emotività, quando le chiedi scusa e sei sincero. Quando le confessi le tue più grandi paure e le tue più belle speranze. Quando non metti barriere tra voi e vi asciugate reciprocamente le lacrime. La trattieni quando lei ti sceglie. Quando le mostri il tuo amore, la tua devozione, quando la riempi di piccole attenzioni. Quando i sentimenti non sono solo parole, ma azioni, atteggiamenti. Quando le dimostri che non è un’opzione, ma la tua priorità. La trattieni quando è la prima mano che afferri nel buio. Quando decidi. Quando la cerchi e le dici che senza di lei non sai stare perché sei innamorato pazzo e che la rivuoi con te ma soprattutto che la ami e non hai smesso di amarla perché lei è lei e nessuna è come lei.

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Inserito il - 07/01/2020 : 06:16:30  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Mi piacciono le persone che sanno esserci, senza se e senza ma. Quelle che sanno sempre trovare il modo,
il modo giusto, per farti capire che nella loro vita tu sei importante. A volte basta poco, un messaggio,
una carezza, uno sguardo o un sorriso, talmente poco che può valere veramente tanto.
Adoro quelle persone che di punto in bianco ti chiedono “Come stai?” E tu le guardi e sai
che non puoi mentire perché loro sanno realmente come tu ti senti.
E allora come un fiume in piena inizi a raccontare tutto ciò che hai dentro
, che ti viene dallo stomaco e loro sono lì davanti che ti stanno ad ascoltare.
Mi piacciono le persone che non si fermano di fronte le apparenze, quelle che ti scavano dentro,
che non si accontentano mai. Adoro quelle persone che coltivano i rapporti, giorno per giorno.
Quelle persone che non sono di convenienza, ma semplicemente convengono per stare bene.
Mi piacciono le persone leali, sincere, quelle che non spariscono, quelle che ti spiegano i loro problemi,
che scelgono di farsi aiutare, non da chiunque, ma da te.
Mi piacciono le persone che fanno i fatti, perché con le parole tutti sanno essere bravi.
Adoro gli amici, quelli presenti,
quelli che nonostante il loro pessimo carattere non ti abbandonano,
quelli che ti scelgono e ti tengono la mano, sempre.
Adoro semplicemente le persone che sanno esserci.
- Giorgia Bellotti

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Inserito il - 07/01/2020 : 14:52:58  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
SFIORARTI
Vorrei solo sfiorarti questa notte
per rimanere concentrato
a scoprire una ad una tutte
le emozioni che mi trasmetti.
Le mie mani scivolano sulla tua pelle
come le gocce sul vetro,
lentamente,
e ogni carezza si porta dietro l’altra
senza interruzione.
Un bacio sarebbe troppo,
il mio cuore deve abituarsi
a questo cambiamento
mentre la mia anima
è già persa di te.

Luca Giorgi

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Inserito il - 08/01/2020 : 05:37:10  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Spesso mia madre mi diceva che al mondo esistono per ogni cosa due tipi di persone…
c'è chi vedendoti in difficoltà non esiterà un solo attimo a tenderti la mano e
chi invece con indifferenza ti passerà accanto e non muoverà un solo dito per risollevarti.

C'è chi a parole vorrà farti credere di essere in grado di smuovere il mondo e chi
con un semplice gesto ti farà sentire come se toccassi il cielo.
C'è chi ti insegnerà a tener duro, a non perdere mai la fiducia in te stessa e chi
puntandoti il dito contro ti dirà che non sei nessuno.
Scegli di essere di sostegno e di far seguire i fatti alle parole
… scegli di non puntare mai il dito ma di tenere ben tese
le tue mani perchè ci sarà sempre qualcuno da risollevare..
Scegli con molta cura la persona che vorrai diventare.
-Lorena Gatta

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Inserito il - 08/01/2020 : 14:00:59  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Una poesia lunghissima
tu, se sai dire, dillo, dillo a qualcuno.
No, non c’è posto qui per una misura
persino l’uomo, per l’uomo, gli può diventare già umano:
come avessimo avuto un senso, o guardavamo un mare
come avesse avuto un senso.
E c’è da riprovare il già provato
sterminare l’amore sterminato.
La molteplice natura del tempo
traveste il suo impercettibile fluire
Se la felicità sia il nostro vero
o il nostro vero la felicità.
vedo un futuro, è fatto di questa
gente che proprio non ne sa niente.
Il sacrificio è una
gara a eliminazione, e la sua ara,
il posto di lavoro.
effimero, passato, forse scritto
anch’esso nella memoria del creato.
Ti sia leggera questa terra, dixi,
provveda la chi mica chi mera.
orfeo! gli dice uno, erfeo! gridando, efreo! battendogli la
faccia con i piedi, ebreo! gli dice allora: “canta!”
Non si sa chi, non si sa dove, non si sa mai
non è possibile trovarsi in cerca di se stessi sempre
Illumino spesso gli altri ma io rimango sempre al buio.
Tu che dormi, ti affido la luce,
crescerà a breve fra la campagna e il noce.
Sii dolce con me.
Maneggiami con cura.
tutto
il tondo del
mondo è qui
Ora che i piedi abitano fermi il suolo
è estenuante l’attesa del paradiso.
Verrà la morte e avrà i mie occhi
ma dentro
ci troverà i tuoi
Io con la poesia vorrei fare mattoni.
Nessuna cultura toglierà le mani alle mani,
la pelle ai vestiti.
hai il sapore del riposo
con gli ultimi voli della notte e il brucare in silenzio
perchè tu sei con me
assorto in un tramonto spalancato
Io.Tu.Tu ed io.Noi.
Una, improvvisamente
s’alza dal letto dicendo
tu mi guardi mentre io ti guardo dentro
e se ti guardo dentro mi vedo.
poche le notti d’amore, pochi i baci, poche le strade
che portano fuori di noi, poche le poesie.
nere nuvole come tumori
come bianco pane di Spagna
Avrai poche cose, tra quelle cose
ci sarò io.
il vero amore
non ha le nocciole
In un lago di nubi e calce accesa,
si appresta l’uomo a soppravivere
e i soffitti sempre più bassi, le rose anche
Un Dio Ragazzo, che conosce il Ma-mul, cantando
urlava maledizioni di penisole
provo una discreta soddisfazione
un povero asino legato quel pioppo che cade
ci accomuna la conta differita dei morti
Tra le fronde c’è un mistero
Alba cerulea di primavera
cerco il fango, mio unico amico
La perfezione del primo vero male
Addolcito il tumulto dei giorni
non serba confini l’amore
Le parole d’amore appartengono ai poeti,
ai pazzi, o agli dei
Pigre, le foglie spaccate dal gelo,
vestono le strade della mia infanzia
Eludendo i tuoi cento sospiri
labbra che si possano credere cadute
A volte pare ciò che non si sa
Magari è proprio questa la virtù
Ma di’ soltanto una parola e l’anima mia sarà salvata
Attento abitante del pianeta,
guardati! dalle parole dei Grandi
un lungo silenzio acceso
dopo un lunghissimo bacio
e non si scioglie non si scioglie non si scioglie non si scioglie più?
Carta da bollo per gli incendiati un papavero
Leggimi di notte, come io scrivo,
Vipera spavalda a testa eretta
Perché non si stima un uomo dal vestito
ma per quanti scalpi di tiranno s’è adoprato.
il cane abbaiava alla luna
ma è questo tuo mancare la presenza
ginestre
ferrose
Nel silenzio dei fiori,
in quel silenzio al centro
scatti di linfa, clorofilla, luce
spiccano ogni volta felici il volo
incontro a chi spara.
chiodata sul ventre di carta
la nascita deforme dei nessi
e Dio non si sarebbe scomodato
Smettila, hai capito? di immaginarci
Nulla da aggiungere, nessun significato
Ripeto ogni mattina la lista e aspetto
che qualcuno mi dica cosa manca, e dove.
La verità che non è la poesia,
ma nel verso come nel segno trova
animale è l’amore
ma tu segui gli spacciatori di oracoli
Prendere in mano la sorte del suo destino e integrarlo
e diventare l’agognato essere dei sogni
Il corpo è la scure: si abbatte sulla luce
scostandola in silenzio
Il massacro è la mia storia, in allegoria.
se ti togliamo ciò che non è tuo
non ti rimane niente
Ho freddo, ma come se non fossi io.
Ho portato un libro, mi dico di essermi pensato in un libro
se riesci, dove finisce l’omero incomincia la mia fine
dove era il mio occhio oggi c’è mare e il cielo
Cosa dirai di me dopo che tutti i mutamenti
mi avranno riempito di difetti
I morti hanno la bocca cucita al perdono.
Nell’aborigeno mio cielo
il mio cielo è tronco d’ali e reti
l’agglutinarsi di dio
dentro di te.
Azzarda lo scompenso nel cammino
Veggente dalla bocca vuota e l’occhio cavo
Io volevo un amore non questa conversione della pena
tu cura il traguardo, l’ombra viva del pensiero
perché sia memoria.
in ogni verbo dove girano mano
e piede s’accampa una pietra
-ché siamo tutti deboli come una promessa
di quelle che (non) mantieni in silenzio
Occorre approntare la parola per gl’inverni a venire
stringendosi addosso assoluzioni e i colpi bassi delle ghiacciate
come si scrive inventariato? Te lo dico io:
si scrive con la lista precisa dei corpi che siamo stati
soma cosa?
peso irriso
Che età avevi quando irruppe il Medo?
Scrivere per disperazione e gioia
e sperare che giovi all’eco del corpo
Abbiamo altre parole questa notte:
un corpo musicale, a vendicare il tempo passato senza fuochi
La selva automatica e squillante, l’anonimato azzurro
ma non etereo: scrupoloso
M’è ditte ca na vote ng’ere amore
e sse durmije cu re pporte aperte
La bocca è un’alba schiusa
la meraviglia è nelle cose guardate
mai nessuno che sospetti che qualcosa va fermato
Chi è necessario dice ciò che resta
e non vuole niente
Avrebbe dovuto appartenere ad altri mondi
l’inerme che è germinato in noi
La gente è uno sbaglio anche quando è lontana.
Chi manca è più nitido,
si prende la ragione
corrisponde a un’incrinatura che si allarga nel tempo ogni nascita,
ben prima del grido che ne certifica l’orrore
riproporsi costante della voglia
di dire dirsi vedi ancora vado
La merce siamo noi, siamo la merce
che può fare acquisti
Quando l’acquisto riguarda il pane, i tempi
sono prossimi alla redenzione

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Inserito il - 09/01/2020 : 06:47:09  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Ode al giorno felice
Questa volta lasciate che sia felice,
non è successo nulla a nessuno,
non sono da nessuna parte,
succede solo che sono felice
fino all’ultimo profondo angolino del cuore.

Camminando, dormendo o scrivendo,
che posso farci, sono felice.
Sono più sterminato dell’erba nelle praterie,
sento la pelle come un albero raggrinzito,
e l’acqua sotto, gli uccelli in cima,
il mare come un anello intorno alla mia vita,
fatta di pane e pietra la terra
l’aria canta come una chitarra.

Tu al mio fianco sulla sabbia, sei sabbia,
tu canti e sei canto.
Il mondo è oggi la mia anima
canto e sabbia, il mondo oggi è la tua bocca,
lasciatemi sulla tua bocca e sulla sabbia
essere felice,
essere felice perché sì,
perché respiro e perché respiri,
essere felice perché tocco il tuo ginocchio
ed è come se toccassi la pelle azzurra del cielo
e la sua freschezza.
Oggi lasciate che sia felice, io e basta,
con o senza tutti, essere felice con l’erba
e la sabbia essere felice con l’aria e la terra,
essere felice con te, con la tua bocca,
essere felice.
Pablo Neruda

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Inserito il - 09/01/2020 : 13:37:23  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
A volte mi chiedo:
come ha fatto la nostra generazione
a sopravvivere ai cibi
contenenti lattosio?
Come siamo potuti crescere
senza omogenizzati, integratori,
ormoni e multivitaminici?
Come siamo vissuti
senza Coca zero, Red Bull,
aperitivi e long drink,
se aspettavamo la domenica
per bere l’acqua gasata
con polverine disciolte?
Come abbiamo superato
gli inverni rigidi
col panino nella cartella,
senza le merendine, la Nutella
e gli immunostimolanti?
Come ci siamo accontentati
della merenda del pomeriggio
fatta di pane, burro e zucchero,
senza ricorrere ai centrifugati
di frutta e verdura?
Come abbiamo superato
le sere d’estate
con una fetta di anguria per strada,
senza la baldoria degli happy hour?
Come abbiamo sopportato
la punizione di un professore,
e abbracciato incontrandolo
dopo tanti anni,
senza aggredirlo
con l’approvazione dei genitori?
Come abbiamo potuto
corteggiare la compagna di banco
senza epilazione sul petto,
e un fisico da body building?
Come abbiamo potuto
fare a meno del personal trainer,
avendo giocato solo a calcetto
sui terreni sterrati,
mentre il compagno più sfigato
faceva da arbitro?
Come siamo sopravvissuti
alle ginocchia sbucciate
e disinfettate con la sola saliva,
senza ricorrere ad antibiotici
antisettici e medicazioni?
Come siamo riusciti
ad incontrarci con la ragazza
se non esisteva il cellulare
e gli unici sms
erano un bigliettino nel diario
e un bacio rischiato?
Come accettava di uscire con noi,
se andavamo a prenderla a piedi
sapendo che volevamo
regalarle le ali?
Come abbiamo potuto
scrivere poesie
e comporre canzoni
senza l’uso del computer?
Come siamo riusciti
ad aspettare un tempo infinito
per dare il primo bacio,
se ora è l’ultimo ad arrivare
dopo un amplesso?
Eppure,
la nostra generazione
che non faceva l’alba,
ha saputo sognare.
Perché il cibo più sano
che l’ha nutrita,
era la speranza...
Gianni Miniello

“La vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti” John Lennon
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dany61
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lentamente muore
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non
rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su
bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno
sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti
all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul
lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un
sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi
non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente
chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i
giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non
fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli
chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida
felicità.
Pablo Neruda

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dany61
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Inserito il - 11/01/2020 : 06:37:10  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Ahi lasso, che li boni e li malvagi
omini tutti hano preso acordanza
di mettere le donne in despregianza;
e ciò più ch’altro far par che lor agi.
5
Per che mal aggia el ben tutto e l’onore
che fatto han lor, poi n’han merto sì bello;
m’eo sarò lor ribello
e prenderò solo la defensione,
e aproverò falso lor sermone,
10
e le donne bone in opera e in fede;
ma voglio che di ciò grazi’ e mercede
rendano voi, gioia gioiosa, Amore.
Non per ragion, ma per malvagia usanza,
sovra le donne ha preso om signoria,
15
ponendole ’n dispregio e ’n villania
ciò ch’a sé cortesia pon’ e orranza.
Ahi, che villan giudicio e che fallace!
ch’a Deo e a ragione è om tenuto,
e per ciascun statuto,
20
sì come donna, a guardar de fallire:
e tanto avante più quanto è più sire
e maggiormente ha saggia oppenïone.
Adonque avemo a veder per ragione
qual più se guarda: quel blasmar men face.
25
Embola, robba, aucide, arde o desface,
periura, enganna, trade o falsa tanto
donna quant’om? non già, ma quasi santo
e ’l fatto so, ver’ ch’è quel d’om fallace.
Carnal talento è ’n loro d’un podere,
30
al qual, savem, donna meglio contende;
e s’el già la sorprende
perché lei ne sia port’o prego o pregio,
ma chi ’l porge, in fallir dobra·i dispregio;
e qual armito è quel che se tenesse
35
s’una plagente donna el richedesse
com’om fa lei, de quanto el sa valere?
Iulio Cesar non penò tempo tanto,
né tanto mise tutto ’l suo valore
a conquistar del mondo esser signore,
40
talor non faccia in donna om altretanto;
e tal è che non mai venta dovene.
Poi più savere e forza en l’om si trova,
perché non si ben prova?
Non vol, ma falla e fa donna fallare:
45
adonque che diritto ha ’n lei biasmare?
Già non e meraviglia qual s’arende,
ma qual s’aiuta e [ qual se ] defende,
poi d’entro e de for tanto assalto tene.
Quant’è più ch’om d’amore a ’nformar fera,
50
più feramente il ten poi l’ha fermato,
como ferro ch’è più duro tagliato
e ten la taglia poi meglio che cera;
l’onor suo torna ad onta e ’l prode a danno,
sé ned amico né Dio guarda fiore
55
a seguir bene Amore;
e om non mett’ a ciò tanto coranza,
tutto ragion non sia, s’el tene amanza,
e no ’nd’è un d’amor tanto corale,
che ’nver’ sua donna stia ferm’ e leale;
60
ma donna pur trov’om for tutto inganno.
Male san dir, ma non già devisare,
ché Deo, che mosse Sé sempre a ragione,
de limo terre l’om fece e formòne,
e la donna dell’om, siccome appare;
65
adonqu’è troppo più naturalmente
gentil cosa che l’omo e meglio è nata,
e più sembra ch’amata
ella fosse da Dio nostro signore;
e maggiormente più feceli onore
70
che non per om, ma per donna, salvare
ne volle veramente ed a Sé trare;
e ciò non fu senza ragion neente.
Vale per sé: nent’ho detto a sembrante;
apresso val ché fa l’omo valere:
75
ché ’ngegno, forzo, ardimento, podere
e cor de tutto ben mettere avante
donali donna en su’ amorosa spera;
for che el non saveria quasi altro fare
che dormire e mangiare.
80
Adonque il senno e lo valor c’ha l’omo
da la donna tener lo dea, sì como
ten lo scolar dal so maestro l’arte;
ed ella quanto face a mala parte
dall’om tener lo pò simel mainera.
85
Prova altra no ’nde fo di ciò c’ho detto,
ma miri ben ciascuno se ver dico,
ché già no me desdico
de starne a confession d’omo leale;
e partase d’usar sì villan male
90
solo cui villania par e menzogna:
ché ’l remanente trar de sua vergogna
non sirà tal ch’io già n’aggia deletto.
Gentil mia donna, fosse in voi tesoro
quanto v’è senno en cor, la più valente
95
fora ver’ voi neente;
e sed eo pur per reina vi tegno,
e’ vi corona onor com’altra regno:
ché tanto è ’n voi di ben tutt’ abondanza,
che viso m’è, Amor, che la mancanza
100
d’ogni altra prenda in voi assai restoro.
Ad Arezzo la mia vera canzone
mando, Amore, a voi, per cui campione
e servo de tutt’altre esser prometto.
Guittone d'Arezzo

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MARCELLO MACEDONIO

I
LE BUGIE NELL’AMORE
Se ’l petto ha cristallino e mostra fòre
le viscere piú interne e piú celate;
se nudo è sempre e nulla asconde Amore,
chi fa bugiarda voi, che tanto amate?
Quanto con bocca angelica dettate
scrivo in diamante e serbo in mezzo al core.
O divina bellezza, or non vogliate
il tempio in cui v’adoro empir d’errore!
acciò che l’alma a voi devota ed usa
a dar incensi al vostro altare adorno,
che miracoli tanti or di voi crede,
non abbandoni il vostro culto un giorno
e, da fallaci oracoli delusa,
perda a l’idolo suo l’antica fede.
[p. 21 modifica]
II
ALLA DAMIGELLA DELLA SUA DONNA
O de la Luna mia seguace stella,
che fai terrena a le celesti oltraggio,
anzi, o splendor, che sei d’un Sol messaggio,
d’amoroso orizzonte alba novella;
l’alba, del sole orïentale ancella,
gli prepara il bel carro al gran viaggio,
e tu, d’un Sol ministra, appo ’l cui raggio
par l’altro agli occhi miei spenta facella,
tu ne dispensi il vago lume altero
ed in cielo d’Amor l’aggiri intorno;
io, che tanto bramai, da te lo spero.
Fa’, tu che puoi, che Sol cotanto adorno,
ch’or co’ begli occhi alluma altro emispero,
al mio si volga ed a me porti il giorno.
III
VIAGGI ED AMORE
Peregrino, cercai stranio ricetto:
vidi antica cittá cui nulla è pare,
giá regina del mondo, ed anco appare
agli occhi altrui d’imperioso aspetto.
Vidi Adria tempestoso e nel suo letto
tra’ venti insuperbir machine rare,
che si fan base cristallina il mare,
e, col ciel confinando, han lui per tetto.
E s’io poggiassi a le celesti piagge
mirando il Sol nel suo palagio adorno
e la magion de l’alba e de le stelle,
certo direi che son rive selvagge,
begli occhi, e pur farei di lá ritorno
a vagheggiar in voi forme piú belle.
[p. 22 modifica]
IV
LE VESTI DI VARI COLORI
Quei tuo’ vaghi colori
onde vai tanto altera,
variando or le bende ed ora i manti,
in te son quasi fiori,
cara mia primavera,
che togli dal mio cor verno di pianti.
Or fingi gli amaranti,
or ne mostri le rose,
or viole ed or gigli
dolcemente somigli
ne le felici tue spoglie amorose;
né manca a sí bel maggio
d’un vivo sole il raggio.
Torbido il ciel sovente
mostra in segno di pace
fra le nubi dipinte un arco vago.
O corpo adorno, ardente,
tu se’ cielo verace,
ché de l’altro io conosco in te l’imago.
Ed oh, quanto m’appago,
mirando che ti cinge
con sí vario colore!
Si consoli il mio core,
ché ne le spoglie sue l’iride pinge
questo ciel di beltade,
e promette pietade.
Fu giá de’ saggi avviso
che forman la bellezza
i vivaci color d’eguali membra;
però l’amato viso
ha cotanta vaghezza,
quindi armato ed ardente ai cori sembra.
[p. 23 modifica]
E costei, che rimembra
sua bellezza infinita
farsi da color vari,
or negli abiti cari
diversa di color pompa n’addita,
e mostra il bello, accolto
ne le vesti e nel volto.
Dal mondo tenebroso
i colori hanno essiglio,
né si veggon da noi senza la luce;
l’azzurro e il verde, ascoso,
e sepolto è ’l vermiglio,
alor che l’ombre sue notte n’adduce.
Se quel Sol che riluce
in due pupille ardenti
nascondesse i be’ rai,
i colori piú gai
certo fôran per me languidi o spenti.
Or, perché sono in lei,
son belli agli occhi miei.
Voi, mirabili ingegni,
che movete i pennelli
per imitar ne l’opre sue natura,
oh che novi disegni,
oh quai colori belli
usa costei che l’arti vostre oscura!
E, pittrice e pittura,
ella fia che vi mostri
come ben si dipinga,
qual color piú lusinga.
Imparate da’ suoi temprar i vostri,
ché talor pingereste
qualche forma celeste.
Vo rimembrando spesso
l’animal che si crede
viver digiuno o sol d’aria cibarsi;
[p. 24 modifica]
scolorito in se stesso,
dovunque posa il piede
suol del color che gli s’appressa ei farsi.
Ed io lo cor mutarsi
a que’ colori sento;
questa cangia le spoglie,
ed io cangio le voglie,
e n’acquisto or dolcezza ed or tormento,
e mi discopro in fronte
novo camaleonte.
Occhi belli ond’io ardo,
occhi crudi ond’io moro,
poiché si vaghi di colore séte,
a me girate il guardo,
ché con altro lavoro
altro nel viso mio color vedrete.
Ch’io son ghiaccio direte,
se ne la fronte essangue
la pallidezza ha loco;
direte che son foco,
se mi fugge dal cor nel volto il sangue.
L’uno e l’altro mi viene
da voi, luci serene.
Fia vantaggio, canzon, ch’io ti nasconda;
ché mal con fosco inchiostro
sí bei colori hai mostro.
[p. 25 modifica]
V
DISFIDA DELLE ACQUE E DELLE AURE

acque
Cedete, aure volanti,
cedete a l’acque belle,
che vi son pur sorelle,
gli alteri vostri vanti.

aure
V’adornan molti fregi,
acque, ma quando ardite
entrar con l’aure in lite,
pèrdono i vostri pregi.

acque
Noi siam tesor del prato,
argento fuggitivo,
zaffiro molle e vivo,
diamante distillato.
In petto a le montagne
filze di perle fine
e serpi cristalline
sembriam per le campagne.

aure
E noi, spirti vitali,
che scorriam gli elementi,
quasi angeliche menti,
con invisibil ali,
figlie de l’aria pura
e nunzie de l’aurora,
e compagne di Flora
e sospir di natura.

acque
Noi degne che ne rubi
il Sol di man dal mare,
e n’alzi a trionfare
sul carro de le nubi.

aure
Noi possiam da’ suoi raggi
i corpi altrui schermire,
quand’ei piú scalda l’ire
nei lunghi suoi viaggi.
[p. 26 modifica]

acque
Noi, sangue dei terreni,
latte che nutre Felci,
nettare de le selci,
manna degli orti ameni;
noi, vita d’ogni stelo
e specchio ai boschi folti
e pittrici dei volti
e ritratti del cielo.

aure
Noi, penne degli odori
e linguaggio d’aprile
e musica gentile
a cui ballano i fiori;
e noi, fiato del mondo,
che spira al spirar nostro:
che piú ? flagello vostro,
che vi scote dal fondo.

acque
Ben sète ingiuriose,
aure mormoratrici,
aure vendicatrici;
ben sète ingiuriose.

aure
Deh, garrule, tacete,
voi che giá cominciaste,
voi che ne provocaste,
temerarie ben sète!

aure
Or cessino gli sdegni,

acque
né si cerchi vittoria;
ma sia pari la gloria
di sì congiunti regni.
[p. 27 modifica]
VI
INVOCAZIONE ALL’AURORA
Niso, a cui giá la greggia
chiedea belando i rugiadosi paschi,
vedendo tutto ancor d’ebeno il cielo,
se non che giá d’avorio
si facea l’orizzonte,
or premea la sampogna
onde con soavissimo lamento
fuggía musico vento,
or l’alba ch’indugiava
con tal voci invitava:
— Pastorella celeste,
sonnacchiosa ti stai fuor del tuo stile;
raccogli omai ne l’infiorato ovile
dai torti suoi vïaggi
la greggia de le stelle,
lucide pecorelle,
a cui son ricca lana i folti raggi.
Tutta notte han pasciuto
per li sereni campi
che germogliano lampi,
ed assai ruminato han per le valli
dei concavi cristalli,
in fonti di rugiada
ed in laghi di manna
sommergendo la sete,
e ne la via di latte,
quasi in fresco ruscello,
lavando a gara il fiammeggiante vello.
Deh, guarda ben di non smarrirne alcuna
per la contrada bruna.
Tosto verran le vagabonde al fischio
de l’Aura tua bifolca,
[p. 28 modifica]
e tu l’indrizza al solito camino
col baston corallino,
e, tosandole poi, di quel tesoro
fa’ per te gonne d’oro. —
Mentre ch’ei favellava,
tra colline di rosa,
in campagna di gigli,
la ninfa orïental vide apparire;
ond’ei sospinse la sua mandra ai prati
e la fistola empí di novi fiati.

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Inserito il - 12/01/2020 : 06:54:06  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
L’amico che dorme, di Cesare Pavese
Che diremo stanotte all'amico che dorme?
La parola più tenue ci sale alle labbra
dalla pena più atroce.
Guarderemo l'amico,
le sue inutili labbra che non dicono nulla,
parleremo sommesso.
La notte avrà il volto
dell'antico dolore che riemerge ogni sera
impassibile e vivo.
Il remoto silenzio soffrirà come un'anima, muto, nel buio.
Parleremo alla notte che fiata sommessa.
Udiremo gli istanti stillare nel buio
al di là delle cose, nell'ansia dell'alba,
che verrà d'improvviso incidendo le cose
contro il morto silenzio.
L'inutile luce svelerà il volto assorto del giorno.
Gli istanti taceranno.
E le cose parleranno sommesso.

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dany61
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Inserito il - 13/01/2020 : 06:53:31  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Antonio Fogazzaro - Il Mistero del Poeta (1896)
Oggi, 2 novembre 1881, ho deciso di porre in iscritto il segreto ch’è la vita, la ricchezza e la potenza dell’anima mia. Nè i miei parenti nè i miei amici ne hanno, ch’io sappia, sospetto alcuno. Una sola persona vivente, in Italia, ne apprese da me qualche cosa; ma ella è tale che certo non ne ha fatto parola.
Parlo della persona che riceverà da’ miei eredi questo manoscritto; parlo di Lei, cara e fedele amica. Se leggendo qui si ricorda di una chiesetta longobarda posata nel verde di campicelli montani; se si ricorda di una sottile voce
[p. 12 modifica]
d’acque nella solitudine, ricorderà pure quella mia confidenza, rotta da singulti senza lacrime, da una emozione che non era solamente dolore. Io rimetto in Lei, oramai, il parlare e il tacere. Se il mondo continuerà ad ignorare il mio segreto, non ne parli, amica mia, che a Dio, nella preghiera; se qualche letterato, viaggiando fuori d’Italia, ne avrà incerta notizia e pretenderà poi far vedere il mio cuore per due soldi in qualche Fanfulla o Pungolo della Domenica, senz’altra offesa che della esattezza storica, dica Ella privatamente il vero a coloro che in quel tempo mi ameranno ancora. Ma se si scriveranno di noi cose false che possano turbare ed affliggere, io La prego, a mani giunte, col cuore pieno d’affanno, a voler pubblicare il mio racconto. Avevo scritto d’affanno e di sdegno, ma ho cancellato lo sdegno, che spiacerebbe alla diletta come un’impurità. Non vi ha oramai per lei e per me che un solo pericolo su questa terra; un solo dolore chiediamo a Dio di allontanare da noi: lo scandalo. Esso è appena possibile, e spero che saremo esauditi; ma se nella sapienza divina fosse altro consiglio, faccia, amica mia,
[p. 13 modifica]
tutto, tutto ciò che faremmo noi, se vivi. Ove non si credesse alla mia parola, la confermi con testimonianze e documenti. Le saranno forniti, ad ogni richiesta, dal mio amico Dottor Paul Steele, di Rüdesheim am Rhein, Prussia.
È il giorno dei morti, la nebbia fuma intorno alle finestre della solitaria villa dove son ospite dei miei nipoti, mi chiude nelle memorie del passato. Qualcuno ripete sotto di me, al piano, non so che musica monotona di esercizi: odo nella stanza vicina passi tranquilli di servi. Nessuno immagina quel ch’io faccio, quel ch’io sento. La mia mano trema, il mio petto è un palpito solo, le lagrime mi ascendono alla gola. E il racconto parrà poi a me stesso così freddo! Vorrei parlare ma non con la parola che muore, parlare dall’ombra del mondo ignoto con la voce viva che va, che va, d’atomo in atomo, non posa mai, è udita forse nei mondi inaccessibili all’occhio umano, se vi sono colà spiriti potenti a sentire ogni moto. Vorrei poter parlare non alla folla, ma solo ai cuori generosi che una calunnia avrà contristati e ai cuori perversi che ne avranno goduto. Devo io dunque deporre la penna e
[p. 14 modifica]
affidarmi a Dio? Penso a lei, alla stella mia, e odo la sua dolce voce straniera, la voce più dolce, io credo, che abbia suonato su labbra umane, dirmi teneramente: caro, scrivi; write, love.

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Inserito il - 14/01/2020 : 06:31:33  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
La noce e il campanile
Trovandosi la noce essere dalla cornacchia portata sopra un alto campanile, e per una fessura, dove cadde, fu liberata dal mortale suo becco, pregò esso muro, per quella grazia che Dio li aveva dato dell’essere tanto eminente e magno e ricco di sì belle campane e di tanto onorevole sono, che la dovessi soccorrere; perché, poi che le non era potuta cadere sotto i verdi rami del suo vecchio padre, e essere nella grassa terra, ricoperta dalle sue cadenti foglie, che non la volessi lui abbandonare: imperò ch’ella trovandosi nel fiero becco della cornacchia, ch’ella si botò, che, scampando da essa, voleva finire la vita sua ‘n un picciolo buso. Alle quali parole, il muro, mosso a compassione, fu contento ricettarla nel loco ov’era caduta. E infra poco tempo, la noce cominciò aprirsi, e mettere le radici infra le fessure delle pietre, e quelle allargare, e gittare i rami fori della sua caverna; e quegli in brieve levati sopra lo edifizio e ingrossate le ritorte radici, cominciò aprire i muri e cacciare le antiche pietre de’ loro vecchi lochi. Allora il muro tardi e indarno pianse la cagione del suo danno, e, in brieve aperto, rovinò gran parte delle sua membre.

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Inserito il - 14/01/2020 : 10:36:38  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
"Non vedevo più nessuno, e allora compresi che cos'era la solitudine del maratoneta in corsa attraverso la campagna, rendendomi conto che per quanto mi riguardava questa sensazione era l'unica onestà e realtà esistente al mondo e che io, sapendolo, non sarei mai stato diverso, quali che fossero le mie sensazioni in certi momenti, e qualsiasi cosa gli altri cercassero di dirmi".

(Alan Sillitoe , La solitudine del maratoneta)

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Inserito il - 14/01/2020 : 21:07:36  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Indro Montanelli e Mario Cervi
L'Italia littoria
Completamente assorbito dal giornale che ho fondato e dirigo, temevo di non poter più riprendere questa Storia, rimasta all'Italia in camicia nera di due anni e mezzo fa. Se sono riuscìto a farlo, è perché ho trovato in Mario Cervi un collaboratore ideale e particolarmente congeniale. Ecco il caso di un libro a quattro mani, di cui sfidiamo qualunque lettore a riconoscere cosa è d'un autore e cosa dell'altro: tanto esso è nato da un continuo colloquio e compenetrazione fra i due. Il volume comprende il decennio che va dal '25, inizio della dittatura, al '36, conquista dell'Abissinia, quando parve che Regime e Paese si fossero per sempre identificati. Il titolo quindi non poteva essere che L'Italia littoria: essa lo fu, piaccia o non piaccia. Noi abbiamo cercato di spiegare perché lo fu, e come, proprio nel momento del suo maggior trionfo, il fascismo e il suo Duce entrarono in crisi. Per uno dei due autori si tratta di esperienza vissuta. Il volume successivo, che arriva all'ingresso dell'Italia nella seconda guerra mondiale, il 10 giugno 1940, sara invece esperienza di entrambi. Questi libri dispiaceranno sia ai fascisti che agli antifascisti. Ma noi non li abbiamo scritti per piacere né agli uni né agli altri.
Citazioni[modifica]
L'Aventino avvertì, con irrimediabile ritardo, l'umore di buona parte del paese: e capì che Mussolini non si era abbandonato immediatamente, dopo l'arresto di Zaniboni e Capello, a spettacolari misure repressive – rifiutò per il momento il ripristino della pena di morte che gli veniva richiesto a gran voce da molti – proprio per consentire che il processo di fascistizzazione morbida si svolgesse senza sussulti. Evirati i grandi giornali di opposizione, vessati i quotidiani di partito (alcuni, come La Rivoluzione liberale e Il Popolo, erano stati costretti a chiudere), l'Aventino poteva riacquistare una voce solo tornando in aula. I comunisti l'avevano capito quasi immediatamente, ed infatti si erano ripresentati alle sedute. In altri gruppi la tendenza al ritorno acquistava forza crescente. Ma a questo punto, reso forte, nella sua intransigenza, dal complotto Zaniboni, politicamente provvidenziale, Mussolini era risoluto a sbarrare loro il passo. Gli aventiniani non avrebbero potuto rovesciare i rapporti di forza in un Parlamento dove la maggioranza governativa era solida. Ma le loro critiche e le loro polemiche sarebbero state fastidiose.
L'iniziativa di Locarno era stata vista con sospetto da Mussolini, soprattutto per una ragione: essa «raddoppiava» la difesa della Francia, ma lasciava senza garanzie la frontiera del Brennero. Per poter vantare una parà internazionale con l'Inghilterra, l'altra garante, e anche per non restare isolato, Mussolini si rassegnò a firmare. Ma non perse più occasione di dichiarare che lo spirito di Locarno si andava «decolorando», che le illusioni da esso suscitate erano mal riposte, e che la corsa agli armamenti non ne era stata minimamente frenata: il che era vero.
Per sottoscrivere il 16 ottobre 1925 il trattato, Mussolini tornò, da Capo del governo, in Svizzera. A questo suo viaggio oltre frontiera non ne seguirono altri per 12 anni. Forse un incidente con i giornalisti contribuì all'avversione di Mussolini per gli ambienti esteri nei quali non fosse protetto – come sarebbe accaduto in Germania dopo l'avvento di Hitler – dallo scudo di una propaganda amica, e nei quali non gli venisse garantita una Tasserella, tappezzata di applausi ed elogi. Duecento corrispondenti incaricati di seguire i lavori della conferenza si erano impegnati a boicottare un'eventuale conferenza stampa del Duce che, informatone, affronto nel salone del Palace Hotel l'inviato del Daily Herald, George Slocombe, portavoce dei corrispondenti esteri. «Ebbene, va sempre avanti il comunismo?» domandò Mussolini, corrucciato, a Slocombe. «Non saprei dirvelo, non sono comunista» fu la risposta. «Bene, allora mi sbaglio» borbottò Mussolini allontanandosi. Al che George Nyples, un olandese, gli lanciò alle spalle un «già, a lei capita spesso».
I frutti di Locarno furono effimeri, anche perché in Germania, eletto il vecchio maresciallo Hindenburg alla presidenza della Repubblica, già si profilava il revanscismo; e la Francia reagiva alla minaccia riarmandosi. Contro la Francia si accaniva di pie la stampa fascista: e alla Francia Mussolini presentava, con arroganza verbale, un «cahier de doléances» che andava dalla spartizione ingiusta dei mandati coloniali allo statuto degl'italiani di Tunisi, da una pie favorevole sistemazione dei confini meridionali della Tripolitania alla mano libera nei Balcani, e alla situazione dei fuorusciti antifascisti. Proprio nei Balcani, in quello scorcio di anni, l'Italia raggiungeva, con re Zog di Albania, un accordo che inseriva saldamente il piccolo Stato nell'orbita italiana, stabilendo un rapporto di alleanza e protezione che il De Felice ha paragonato a quello tra l'Inghilterra e il Portogallo e che impensieriva, naturalmente, la Jugoslavia.
La Francia era angosciata dai sintomi di un riavvicinamento italo-tedesco, che era ancora psicologico, più che politico, ma che si delineava. Non che Hitler avesse preso risolutamente parte per l'Italia, nella guerra etiopica. Anzi, fino alla vigilia del 3 ottobre 1935, aveva rifornito di armi il Negus: e si capisce perché. Quanto più la campagna durava, tanto i rapporti tra Mussolini e le potenze occidentali si deterioravano. Nello stesso tempo diminuiva la capacità italiana, militare e politica, di reagire a un eventuale nuovo colpo tedesco sull'Austria, e aumentava la propensione italiana ad appoggiarsi al dittatore tedesco.
Mai egli trascorse una notte con Claretta a Palazzo Venezia. S'incontravano, tra molti e quasi comici sotterfugi anche a Riccione, quand'egli vi si recava con la famiglia e i Petacci si trasferivano per l'occasione in un albergo di Rimini o al Terminillo, durante qualche vacanza. Forse in qualche momento la Petacci ebbe l'ambizione essere l'ispiratrice o la consigliera politica, oltre che l'amante di Mussolini. Non vi riuscì mai, o dovette limitarsi ai queruli ammonimenti sulla pochezza e sull'infido comportamento dei suoi collaboratori (come Rachele, del resto). Cosi, nel 1936, Mussolini aveva tutto ciò che uno statista «cesareo» potesse sognare: l'onnipotenza, una popolarità quasi senza ombre, l'Impero, la sua favorita. E non mancavano che nove anni a piazzale Loreto.
Il nodo vero [tra regime fascista e Santa Sede] restava l'Azione cattolica, alla quale il Papa rivendicava il diritto di «portarsi anche sul terreno operaio, lavorativo, sociale». Troppo per Mussolini, risoluto a relegare sempre più l'organizzazione nello stretto campo dello «spirituale» e a impedire che certi suoi uomini dimostrassero eccessivo mordente. Si asserì che a metà maggio esponenti della Azione cattolica avevano tenuto riunioni per discutere progetti ostili al Regime. Il 29 maggio 1931 Mussolini ruppe gli indugi e ordinò ai Prefetti di sciogliere «le associazioni giovanili di qualsiasi natura e grado di età che non facciano direttamente capo alle organizzazioni del Partito Nazionale Fascista o dell'Opera Nazionale Balilla». La Gioventù cattolica e ogni altra branca giovanile della Azione cattolica subirono così la sorte degli Esploratori cattolici. Le loro sedi furono chiuse, il materiale che vi si trovava sequestrato. (Capitolo quarto, La Conciliazione, p. 79)
L'IRI aveva scopi «riparatori», era cioè (e resterà nei decenni, prima e dopo la caduta del fascismo) un ospedale o un ospizio per imprese in collasso, o malate, o senescenti. Varando l'IRI, Mussolini si diceva certo che esso avrebbe tonificato potentemente il mercato italiano. Nessuna intenzione di collettivizzare l'economia, anche se lo Stato si trovò in grado di controllare, come scriveva Gerarchia[3], i tre quarti del meccanismo produttivo industriale e agricolo, almeno per le grandi imprese. (Capitolo sesto, Il Decennale, p. 103)
Tra i tanti discorsi di routine ve ne fu, nel convegno [di studi corporativi di Ferrara del 1932], uno che fece scandalo. Lo pronunciò il filosofo Ugo Spirito, già allievo di Gentile e poi in dissenso con il maestro. Spirito parlò di «Individuo e Stato nella concezione corporativa» sostenendo che il corporativismo doveva segnare la fine della lotta di classe, ma nel senso che capitale e lavoro si sarebbero fusi, e che si sarebbe dovuto arrivare alla «corporazione proprietaria». Coerentemente con questa impostazione, che faceva del corporativismo «il liberalismo assoluto e il comunismo assoluto», Spirito proponeva che, come primi provvedimenti, dovesse essere inserito un rappresentante dello Stato nei consigli di amministrazione delle maggiori aziende, e dovesse inoltre essere assicurata una cointeressenza, oltre al salario, ai dipendenti. Quasi non bastasse, il filosofo disse che fascismo e comunismo non dovevano essere contrapposti in maniera antitetica. (Capitolo sesto, Il Decennale, pp. 104-105)
[...] fin dai primi passi [Galeazzo] Ciano gerarca si rivelò per quello che era: intelligente ma superficiale, velleitario più che virile, fatuo più che brillante, smanioso di imitare Mussolini – anche nella ostentata rinuncia a ogni principio di moralità internazionale – ma privo della testa, della grinta, dell'intuito di lui. Si atteggiava a rude, e riusciva ad essere soltanto goffo. Bel ragazzo, un po' del genere tango, aveva però, nel modo di muoversi, alcunché di inguaribilmente molle. «Camminava – ha scritto Renzo Trionfera – divaricando i piedi come, per deformazione professionale, capita ai vecchi camerieri di trattoria.» Le male lingue gli lanceranno, quando firmerà il patto con la Germania [Patto d'Acciaio], una battuta al cianuro: «piede-piatto d'acciaio». (Capitolo sesto. Il Decennale,
Explicit[modifica]
Nella prima metà degli anni Trenta era stato tutto un fiorire di piccoli giornali che rompevano la plumbea e solenne atmosfera del regime e v'immettevano un certo fervore. Longanesi con L'Italiano e Maccari col Selvaggio erano stati i primi, grazie anche al loro brevetto di fascisti antemarcia e alle immunità che gliene derivavano, a rompere il coro del conformismo di Regime. Ma, un po' per vocazione di artisti, un po' per prudenza, essi mantenevano il loro discorso sul piano della cultura e del costume, che solo di riflesso investiva quello politico. Essi però insegnarono a tutti noi a scrivere fra le righe, per allusioni che sfuggivano alla occhiuta ma ottusa censura, a parlare a nuora perché suocera intenda, e a colpire il Regime negli artisti, negli scrittori, negli architetti, negli urbanisti del Regime. Ebbero una funzione importantissima: in norne della tradizione, essi difendevano l'Italia prefascista rivalutandone quanto si poteva rivalutare. Diverso fu l'atteggiamento di chi invece vedeva o voleva vedere nel fascismo non gin il ritorno al passato, ma l'apertura a un mondo nuovo, e cioè tuttora sperava di fare di esso una vera rivoluzione. Ad assumere questa posizione, e a tenerla con coerenza e rigore, furono soprattutto Cantiere e L'Universale di Berto Ricci, un giovane fiorentino, professore di matematica, approdato al fascismo da un'esperienza anarchica, forse la coscienza pin alta della nostra generazione. Ricci poneva l'accento soprattutto, alai quasi esclusivamente, sui valori morali e spirituali: per lui il fascismo doveva essere l'incubatrice e la scuola di un italiano antico e nuovo, anzi nuovo in quanto antico, del quale cercò di fornire egli stesso un modello che si avvicinava in sostanza a quello stoico. Sulla sponda opposta, Cantiere metteva invece l'accento sulle «strutture»: fu la prima pubblicazione, credo, d'ispirazione «sociologica», e infatti gran parte dei suoi collaboratori finirono poi in braccio al comunismo. [...] Ormai era chiaro che l'intellighenzia voltava le spalle al fascismo, cui non restavano che i somari zelanti. Coloro che, pur su posizioni di dissenso, non intendevano cornbatterlo per scrupolo di lealtà, si trassero in disparte e si chiusero nel silenzio. Fu il caso di Ricci, tornato a fare il professore di matematica. Ecco il brano di una sua lettera (e una testimonianza che gli debbo) a seguito di un colloquio nel quale lo avevo inutilmente esortato a schierarsi con noi: «Questo solo ti chiedo: di poter continuare a stimarti come avversario, visto che devo cessare di stimarti come amico e alleato. Se imbocchi la strada della dissidenza, devi batterla sino in fondo, sino alla galera o all'esilio...». Non la battei, per allora, sino in fondo. Ma rividi Ricci ancora una volta: a Napoli, quando s'imbarcava volontario per la Libia, agl'inizi della guerra mondiale. Gli chiesi perché lo faceva, lasciando la moglie e un figlio, ora che nemmeno lui ci credeva più. Mi rispose: «Nella vita di un uomo c'e posto per una conversione, e io l'ho già avuta. Ora devo affondare con la barca». E affondò: di lui rimane una croce nel deserto, e nella coscienza di chi gli fu amico un ricordo inquietante. Ci furono, nella nostra generazione, parecchi altri Ricci, anche se non della sua levatura intellettuale. Ce ne furono anche, mescolati a tanti avventurieri e canaglie nella Repubblica di Salò. Chi scrive è orgoglioso di appartenere alla generazione che ha dato di questi uomini. È stata l'ultima a dare degli uomini.
L'Italia dell'Asse
Incipit[modifica]
Questo volume comprende, come il lettore vede, il quadriennio che va dall'intervento dell'Italia nella guerra civile spagnola a quello nel conflitto mondiale. Abbiamo fatto il possibile per contenerlo nella misura dei volumi precedenti, ma non ci siamo riusciti perché la parte svolta da Mussolini nella vicenda spagnola e poi nelle due grandi crisi – quella austriaca e quella cecoslovacca –, che condizionò tutta la politica italiana di quel periodo dando il passo a quella estera su quella interna, ci ha costretto ad allungare lo sguardo oltre confine. Ma non potevamo farne a meno, perché è impossibile capire i motivi che spinsero Hitler a mettere a ferro e fuoco l'Europa, e poi Mussolini ad associarglisi, se non si ha un'idea almeno approssimativa dei rapporti di forza tra le varie Potenze, e degli equivoci e degli errori che le condussero alla catastrofe. Questa idea, noi ci siamo sforzati di darla, sia pure sommariamente, ma senza pregiudizi né partiti presi. A distanza di quarantanni da quegli avvenimenti e scrivendo per dei lettori, la cui schiacciante maggioranza non li ha vissuti o ne ha soltanto un lontano ricordo, ci pare che il nostro dovere di storici – o, se preferite, di cronisti – sia più quello di raccontarli e spiegarli che di giudicarli. Ormai gli elementi per ricostruirne la trama ci sono: «rivelazioni» potranno ancora venire ad arricchirla di qualche particolare, ma senza intaccarne la sostanza
Citazioni[modifica]
Roatta non aveva il fisico del condottiero. Con gli occhiali e la incipiente pinguedine – caratteristiche comuni a troppi alti ufficiali italiani del tempo – era un tipico generale da tavolino e da corridoio, capace di destreggiarsi egregiamente nelle rivalità e negli intrighi che inquinavano i vertici delle Forze Armate, abile nel tessere ottimi rapporti con la gerarchia fascista. (cap. 1, 2006, pp. 34-35)
Le leggi razziali del 1938 furono motivo di sgomento per gli ebrei e di indignazione per la stragrande maggioranza degli altri italiani. Ne apparve chiara, immediatamente, la estraneità non soltanto alla storia del paese, ma alla storia stessa del fascismo. Vennero intese come un prodotto di importazione e come il frutto peggiore dell'adeguamento mussoliniano alla «moda» tedesca. Molti zelanti razzisti dell'ultima ora andarono frettolosamente a ripescare, nelle cronache dei decenni prefascisti e del quindicennio fascista, precedenti, saggi, citazioni che avallassero la persecuzione. (cap. 9, 2006, p. 170)
Non fu difficile attingere materiale ad hoc anche dalla vastissima pubblicistica e oratoria del Duce, che su quasi ogni argomento aveva sostenuto, secondo che lo suggerissero le circostanze e la opportunità politica, tesi opposte. Ma questo inane e maldestro sforzo propagandistico, che pretendeva di dare coerenza a una scelta dell'ultima ora, non riusciva a occultare una realtà inconfutabile: l'idea razzista era stata in Italia, per lungo tempo, il patrimonio di pochi, inascoltati, e per lo più disprezzati profeti, e almeno fino al 1936 Mussolini l'aveva respinta. (cap. 9, 2006, p. 170)
Non si vuol affermare, con questo, che mancassero all'antisemitismo radici lontane. Ma era, quello «storico», un antisemitismo di origine religiosa, non razziale, legato all'antica accusa di deicidio mossa agli ebrei dalla Chiesa. Realizzata l'unità d'Italia, scomparsi i ghetti, gli ebrei italiani si erano mescolati al resto della società, confondendovisi a tal punto – soprattutto attraverso il meccanismo dei matrimoni misti – da suscitare allarme tra i correligionari più ortodossi, uno dei quali ammoniva: «Gli ebrei d'Italia, inebriati dai successi nella politica, nelle scienze, nelle industrie, nelle arti, nel giornalismo, si avviavano sulla china della più completa assimilazione, aprendo la via, per la sopravveniente generazione, all'assorbimento o all'annullamento di se stessi». (cap. 9, 2006, pp. 170-171)
Sulla sua rivista La vita italiana [Giovanni Preziosi] elaborò le linee di un antisemitismo che, dapprima rivolto contro le centrali ebraiche di potere economico, assunse successivamente i caratteri del razzismo più intransigente, in perfetta consonanza con le tesi naziste. (cap. 9, 2006, pp. 174-175)
L'antisemitismo di Preziosi ricalcò tutte le argomentazioni naziste sulla «congiura mondiale» dell'ebraismo, attingendo largamente, per convalidare le sue tesi, a quel grossolano falso che porta il nome di Protocolli dei Savi Anziani di Sion. (cap. 9, 2006, p. 175)
Indottrinata dal Minculpop la stampa – ora anche la grande stampa, non soltanto la Difesa della razza di Telesio Interlandi o il Tevere, con le loro pretese pseudo-scientifiche – iniziò un tambureggiamento propagandistico contro gli ebrei, provvedendo nel contempo a sopprimere ogni notizia che agli ebrei stessi fosse favorevole: dei loro meriti di combattenti, di uomini di cultura, di scienziati, non si parlò più. Rino Alessi, che sul Piccolo di Trieste si era battuto con coraggio, nel gennaio del 1938, contro le prime bordate antisemite, fu messo a tacere da Farinacci. (cap. 9, 2006, p. 181)
Gli editorialisti più tiepidi ed esitanti nel difendere il razzismo ricorrevano, per cavarsela, agli artifizi della retorica trombona, scrivendo ad esempio che il razzismo «è il coronamento e il compimento della nuova coscienza dell'Italia fascista, necessario coronamento per confermare e consacrare il trapasso dal ciclo nazionale al ciclo imperiale della terza Italia». (cap. 9, 2006, p. 181)
Alcuni studiosi, tra i quali figurava un solo nome di rilievo, quello dell'endocrinologo Nicola Pende, accettarono di elaborare un «Manifesto degli scienziati razzisti» nel quale si asseriva che «le razze umane esistono», che «ve ne sono di grandi e di piccole», che «la popolazione dell'Italia attuale è di origine ariana», che «esiste una pura razza ariana», che i caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani «non debbono essere alterati in alcun modo». Agli ebrei era dedicato questo paragrafo: «Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra patria, nulla in generale è rimasto. Anche l'occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all'infuori del ricorso di qualche nome: e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l'unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli italiani». (cap. 10, 2006, pp. 181-182)
Il «Manifesto» era un centone di affermazioni banali e di affermazioni false. Il testo originario che gli «scienziati» avevano steso subì profonde modifiche, pare anche ad opera di Mussolini: tanto che Pende volle protestare pubblicamente, ma ne fu dissuaso con la minaccia di un totale boicottaggio alla sua attività di ricercatore e di pubblicista. Questi servili studiosi furono quindi ricevuti da Starace. Un comunicato del PNF annunciò, riassumendo i temi dell'incontro, che «gli ebrei si considerano da millenni, dovunque e anche in Italia, una razza diversa e superiore alle altre, ed è notorio che, nonostante la politica tollerante del Regime, gli ebrei hanno, in ogni nazione, costituito – coi loro uomini e coi loro mezzi – lo Stato Maggiore dell'antifascismo». (cap. 10, 2006, p. 182)
Questo avallo ormai inequivocabile scatenò ancor più lo zelo servile della stampa, provocò una serie di iniziative epuratrici con una gara disgustosa alla intransigenza, coinvolse istituzioni che avrebbero dovuto avere ben più austera coscienza della loro dignità e indipendenza. (cap. 10, 2006, p. 182)
Bottai raccomandò che La difesa della razza fosse letta e chiosata nelle biblioteche universitarie, stabilì che la «coscienza razzista» fosse gradualmente formata nelle scuole, dispose la sostituzione dei libri di testo di autori ebrei, ordinò ai provveditori di escludere gli ebrei da ogni incarico o supplenza. L'intellettuale del Regime s'inchinava al fanatismo più odioso. Durante la riunione del Gran Consiglio, che durò dalle dieci di sera del 6 ottobre fin quasi alle tre di notte, Bottai, insistendo per il rigore nel discriminare, disse: «Ci odieranno perché li abbiamo cacciati. Ci disprezzeranno perché li riammetteremo». (cap. 10, 2006, p. 184)
La folgore delle leggi razziali provocò tra gli ebrei italiani sgomento e, in un primo momento, anche divisioni e recriminazioni. Vi furono ebrei che non capirono immediatamente quanto l'antisemitismo fascista fosse occasionale e strumentale e quanto poco fosse legato ai comportamenti della comunità che ne era colpita. Vennero impegnate polemiche tra le pubblicazioni sioniste e quelle che, ripudiando il sionismo, considerato la causa prima della persecuzione, tentavano ingenuamente di recuperare i favori del Regime. Vi fu chi esortò ad «accettare fascisticamente le persecuzioni» per dimostrare che «la saggezza del Capo aveva ancora una volta vinto».
La persecuzione razziale determinò, nella comunità ebraica, due fenomeni che a volte si intrecciarono in un fenomeno unico: l'emigrazione, e l'adesione alle posizioni politiche antifasciste. Alcune migliaia di ebrei, o perché già in contatto con persone residenti all'estero, o perché più facoltosi, o perché più risoluti, abbandonarono l'Italia, per trovare un rifugio e rifarsi una vita oltre Oceano. Il fisico Enrico Fermi, padre della bomba atomica, si trasferì negli Stati Uniti anche per proteggere da pericoli futuri la moglie ebrea. Come lui, altre migliaia di famiglie lasciarono l'Italia, provocando in alcuni settori professionali o scientifici vuoti difficilmente colmabili: tanto che, quando nel novembre 1940 gli aerosiluranti inglesi danneggiarono catastroficamente tre navi da battaglia alla fonda a Taranto, il governo fascista dovette ricorrere all'aiuto del generale del genio navale Pugliese, messo a riposo a causa delle leggi razziali, che per tutta ricompensa chiese il rimborso delle spese di viaggio e l'autorizzazione a indossare ancora l'uniforme. Ma la persecuzione rivelò il volto peggiore del fascismo a molti che ad esso avevano sinceramente aderito, e le file degli ebrei che militavano nella opposizione clandestina e operante all'estero si infittirono parecchio. Quelli di Terracini, di Leone Ginzburg, dei Sereni, non furono più esempi isolati.
Le armate del Terzo Reich erano pronte all'avanzata, e quando Henderson e l'ambasciatore francese Coulondre seppero in cosa esattamente le proposte consistessero, l'ordine definitivo alla Wehrmacht era stato già impartito, la mattina del 31 agosto. La possibilità di una soluzione pacifica era stata esclusa sia da Hitler, animato da una volontà demoniaca di azione e di conquista, sia dai polacchi, romanticamente e fatalisticamente rassegnati ad un ennesimo tragico smembramento del loro paese. Ma, condannati alla sconfitta, non volevano aggiungere ad essa l'umiliazione di patteggiamenti inutili.
Alle 9 di sera del 31 agosto ci fu, puntuale, l'incidente provocatorio. Al comando di un ufficiale delle ss, Alfred Naujocks, alcuni uomini penetrarono, fingendosi polacchi, nella sede della radio tedesca di Gleiwitz, trasmisero un proclama in polacco, si lasciarono dietro alcuni morti. Alle 4,45 del 1º settembre 1939 i cannoni dell'incrociatore corazzato Schleswig-Holstein aprirono il fuoco contro installazioni costiere polacche, le sbarre di confine furono alzate, i reparti tedeschi penetrarono in Polonia. Così, senza dichiarazione di guerra, la guerra era cominciata.
Il 10 giugno alle 17,30, mezz'ora prima che Mussolini, dal balcone di Palazzo Venezia, annunciasse l'intervento, Ciano consegnò le dichiarazioni di guerra prima a François Poncet («È un colpo di pugnale ad un uomo in terra» disse l'ambasciatore francese e aggiunse: «I tedeschi sono padroni duri, ve ne accorgerete anche voi»), quindi a Percy Loraine, che «ha accolto la comunicazione senza batter ciglio, né impallidire». Pressappoco alla stessa ora Mussolini telefonò alla Camilluccia, la residenza dei Petacci. Gli rispose Myriam, la sorella minore di Claretta, che ha rievocato l'episodio in una intervista. Mussolini le disse che «tra poco dichiarerò la guerra, sono costretto a dichiararla». «Ma sarà breve, Duce?» chiese la ragazza. «Sarà lunga. Non meno di cinque anni.» Ma forse quel pessimismo, in netto contrasto con il pronostico fatto a Badoglio, era solo scaramantico.
II discorso che Mussolini rivolse alla folla non merita molte citazioni. Fu un collage di pretesti («noi vogliamo spezzare le catene di ordine territoriale e militare che ci soffocano nel nostro mare», «questa è la lotta dei popoli poveri e numerosi di braccia contro gli affamatori») che nascondeva il motivo vero dell'entrata in guerra. Infatti il Duce non indugiò sulla travolgente avanzata dei tedeschi, che in Francia avevano superato la Senna, a ovest di Parigi, e stavano accerchiando la capitale, dalla quale il governo era già fuggito. «Secondo le leggi della morale fascista quando si ha un amico si marcia fino in fondo» tuonò il Duce. E infine lanciò la parola d'ordine «Vincere!»
Seguirono gli immancabili scambi di telegrammi, tra Hitler e il Re, tra Hitler e Mussolini, e i proclami. Quello di Vittorio Emanuele III affidava al Capo del governo, Duce del fascismo, Primo maresciallo dell'Impero, il comando delle truppe operanti; Umberto di Savoia, comandante del gruppo Armate Ovest, espresse al Duce «infaticabile artefice del destino della Patria» la promessa di «tutto osare».

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Siegfried Sassoon

Il bacio

In loro credo, a loro mi rivolgo –
Fratello Piombo e Sorella Acciaio.
Al suo cieco potere mi affido;
Dalla sua beltà la ruggine tolgo.

Lui ruota, brucia e abbraccia l'aria,
E squarcia teste per sedurmi;
Ma durante le marce in armi
Lei splende bella, fredda e spoglia.

Dolce Sorella, promettilo al tuo soldato;
Che nella quieta furia lui possa sentire
Con il tallone su un corpo che sta per morire
L'estasi regalata dal tuo bacio affilato.

Aprile 1916
Traduzione di Michele Peroni

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Che diremo stanotte all'amico che dorme?
La parola più tenue ci sale alle labbra
dalla pena più atroce.
Guarderemo l'amico,
le sue inutili labbra che non dicono nulla,
parleremo sommesso.
La notte avrà il volto
dell'antico dolore che riemerge ogni sera
impassibile e vivo.
Il remoto silenzio soffrirà come un'anima, muto, nel buio.
Parleremo alla notte che fiata sommessa.
Udiremo gli istanti stillare nel buio
al di là delle cose, nell'ansia dell'alba,
che verrà d'improvviso incidendo le cose
contro il morto silenzio.
L'inutile luce svelerà il volto assorto del giorno.
Gli istanti taceranno.
E le cose parleranno sommesso.

Cesare Pavese

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270 anni dalla nascita di Vittorio Alfieri
Poeta (Asti 16 gennaio 1749 - Firenze 8 0ttobre 1803)
Vittorio Alfieri ha precorso le istanze politiche e morali del Risorgimento. Autore di numerose raccolte di versi (Rime, 1804) e di un’autobiografia (Vita), dal 1776 al 1786 compose diciannove tragedie in endecasillabi sciolti, tra le quali il Saul e la Mirra sono considerate i suoi capolavori. Ai temi della libertà e della lotta contro la tirannia dedicò due trattati: Della tirannide (1777) e Del principe e delle lettere (1778-86). Nelle tragedie (oltre alle due citate si ricordano l’Antigone, La congiura de’ Pazzi, la Virginia, il Timoleone) l’indole eroica e appassionata di Alfieri si manifesta più intensamente.
Visitò non solo le principali città italiane sino a Napoli, ma quasi tutta l’Europa. In Olanda e in Inghilterra ebbe due incontri amorosi; un terzo, a Torino, con la marchesa Gabriella Turinetti, fu indiretta cagione della sua definitiva conversione alla letteratura, alla quale già l’aveva indirizzato la lettura delle Vite di Plutarco. Assistendo la Turinetti durante una sua malattia, aveva abbozzato una tragedia, Antonio e Cleopatra, che poi, condotta a termine, fu rappresentata con lieto successo (1775): Alfieri giudicò immeritati gli applausi e decise di far qualcosa di veramente degno.
Cominciò allora a studiare furiosamente e si recò due volte in Toscana per meglio apprendere la lingua: a Siena conobbe un ricco e colto mercante, Francesco Gori-Gandellini, col quale strinse l’unica forte amicizia della sua vita e che, morto, esaltò come uomo perfetto in un dialogo, La virtù sconosciuta (1786); e, a Firenze, conobbe Luisa Stolberg, moglie di Carlo Eduardo Stuart, conte di Albany, con la quale visse maritalmente fino alla morte.
L’anno dopo, donò tutta la sua proprietà piemontese alla sorella Giulia, contro il corrispettivo di una rendita vitalizia. Firenze, Roma, Siena, Pisa, furono i suoi soggiorni più importanti fra il ‘78 e l’85. Tra l’85 e l’87 alternò principalmente le dimore di Martinsburg presso Colmar, in Alsazia, e di Parigi, dove nell’87 si stabilì con l’Albany e restò sino al ‘92; dove anche assistette, ammirato, ai primordî della rivoluzione, che placarono per un momento la sua radicata avversione alla Francia, patria dell’illuminismo.
Presto gli eccessi rivoluzionarî lo disgustarono. Fuggito da Parigi, si stabilì definitivamente con la sua donna a Firenze. Ne ragionò sistematicamente in due trattati: Della tirannide (1777), e Del principe e delle lettere (cominciato nel ‘78, ma scritto per la maggior parte nell’85-86). Nel primo giudica il dispotismo immorale anche quando è illuminato; nel secondo dimostra come non sia affatto vero che esso giovi alle lettere.
L’ultima sua fatica letteraria sono quattro commedie politiche: «L’uno», condanna della monarchia assoluta; «I pochí,» dell’oligarchia; «I troppi», della democrazia; «Tre veleni rimesta, avrai l’antidoto», in cui addita il rimedio in una fusione delle tre forme di governo. Di argomento morale e sociale altre due commedie: La finestrina e il Divorzio. La Vita (la prima parte fu scritta nel ‘90 e giunge fino a quell’anno; la seconda è del 1803, l’anno stesso della morte) «sostanzialmente e coraggiosamente veritiera - scrive il dizionario Treccani - , è, per consenso di tutti, un capolavoro, tanto è perfetta l’aderenza dello stile a quel misto di alta idealità entusiastica e d’ironia, di violenza appassionata e intima bontà, di furori e di malinconia, ch’era nel suo temperamento».

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dany61
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Inserito il - 17/01/2020 : 05:13:20  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Come la bruma non lascia sfregi
Sul verde cupo della collina
Così il mio corpo non lascia sfregi
Su di te e non lo farà mai
Oltre le finestre nel buio
I bambini vengono, i bambini vanno
Come frecce senza bersaglio
Come manette fatte di neve
Il vero amore non lascia tracce
Se tu e io siamo una cosa sola
Si perde nei nostri abbracci
Come stelle contro il sole
Come una foglia cadente può restare
Un momento nell'aria
Così come la tua testa sul mio petto
Così la mia mano sui tuoi capelli
E molte notti resistono
Senza una luna, senza una stella
Così resisteremo noi
Quando uno dei due sarà via, lontano.”
Leonard Cohen

“La vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti” John Lennon
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dany61
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Si guarda allo specchio e prova a sorridere, trascorre un minuto poi il sorriso si spegne.
Chi vuoi prendere in giro?
Ora, sei sola non devi fingere.
Fingere falsi sorrisi, falsi “sto bene”, perché affrontare la realtà fa troppo male.
La realtà è che non lo sai, dico bene? Non lo sai come stai.
Sai solo che sei diversa, che non sei più la stessa.
Sfogli le vecchie foto in cerca di un qualche dettaglio in cui ritrovarti, lo cerchi disperatamente quel dettaglio.
Ma non puoi continuare a evitarlo, devi ammetterlo: sei cambiata.
Non sei più la ragazzina timida che arrossiva quando le veniva fatto un complimento.
Non sei più una sognatrice che viveva di libri e di lieto fini.
Non sei più la ragazza romantica che desiderava l’amore.
Ora sei l’acidità e la risposta sempre pronta.
Ora sei la freddezza accompagnata da falsi sorrisi
Ora sei occhi opachi che hanno perso la loro luce.
Sei la ragazza forte che nulla sembra possa ferirla, perché sei già stata ferita, vero piccola?
Sei stata ferita talmente profondamente da esserti abituata al dolore, così che, per autodifesa, hai trasformato il tuo cuore prima in un pezzo di ghiaccio, poi in un sasso.
Sei stata ferita talmente tante volte dall’amore che sei arrivata al punto di smettere di amare, proprio tu che avresti dato la vita per amore.
Ma vedi, è stato proprio amare così tanto il tuo più grande errore.
Ricordate: l’amore è un’addizione.
L’amore genera amore, se non è così non è vero amore.

“La vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti” John Lennon
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dany61
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Una scuola grande come il mondo
C’è una scuola grande come il mondo.
Ci insegnano maestri e professori,
avvocati, muratori,
televisori, giornali,
cartelli stradali,
il sole, i temporali, le stelle.
Ci sono lezioni facili
e lezioni difficili,
brutte, belle e così così…
Si impara a parlare, a giocare,
a dormire, a svegliarsi,
a voler bene e perfino
ad arrabbiarsi.
Ci sono esami tutti i momenti,
ma non ci sono ripetenti:
nessuno puo’ fermarsi a dieci anni,
a quindici, a venti,
e riposare un pochino.
Di imparare non si finisce mai,
e quel che non si sa
è sempre più importante
di quel che si sa già.
Questa scuola è il mondo intero
quanto è grosso:
apri gli occhi e anche tu sarai promosso!
Gianni Rodari

“La vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti” John Lennon
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dany61
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Inserito il - 20/01/2020 : 06:21:14  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di dany61 Invia a dany61 un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
John Ashbery

Certi alberi

Questi sono stupefacenti: accosto
ciascuno al vicino, come se il discorso
fosse una messa in scena silente.
Dandoci stamane casualmente

appuntamento così tanto via
dal mondo quanto in armonia
con esso, io e te
siamo d’improvviso cio che

gli alberi cercano di dirci
che siamo: che il loro mero esserci
ha significato; che potremo toccare
presto, e amare e spiegare.

E lieti di non avere inventato
noi tale grazia, ne siamo circondati:
un silenzio già colmo di rumori,
una tela su cui affiori

un coro di sorrisi, d’inverno, un mattino.
Posti in una luce sconcertante, e in cammino,
i nostri giorni indossano una tale reticenza
che questi accenti paiono la loro
stessa resistenza.
Traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan

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